Il crowdfunding all’italiana dà il suo primo frutto. Quattro ragazzi e l’idea, open source, di una lampada fatta con il cartone della pizza: l’impresa nasce sul sito di Eppela. L’esperienza delle «CC» in Italia. Era il 16 dicembre 2002 quando l’organizzazione Creative Commons presentava i primi modelli di copyright “flessibile”.
MILANO – Con oltre 6mila euro – almeno mille in più rispetto a quanto richiesto – lo scorso weekend è andato a segno il primo progetto di nuova impresa italiana finanziato interamente dal crowdfunding, ovvero dai contributi volontari degli utenti internet che con piccole donazioni hanno aiutato la nascita di una start-up. Loro sono 4 ragazzi italiani, laureati da un paio di anni, che vivono in 4 città diverse: è loro l’idea di una lampada ecologica, basata sul recupero, di facile fabbricazione, oggetto di design in open source. Si chiama Fattelo! e grazie alle donazioni ricevute su Eppela ora nascerà una srls, società a responsabilità limitata semplificata, la forma societaria a capitale ridotto introdotta la scorsa estate per gli under 35.

LA LAMPADA – Il progetto nasce un po’ per caso, quando uno dei 4 fondatori inventa, usando materiale di scarto, questa lampada fatta con il cartone della pizza recuperato, ripiegato e fustellato per creare una base, in cui inserire poi una luce LED: niente vecchie lampade a incandescenza, per far bene all’ambiente e non bruciare il cartone. L’idea di Fattelo! è duplice: da un lato è possibile acquistare la lampada direttamente dal produttore per pochi euro, e riceverla già fustellata, in versione compatta per risparmiare anche sugli ingombri di spedizione (la lampada costituisce anche il packaging con cui affronta il viaggio), riceverla a casa, aggiungere una luce e usarla. Dall’altro si può invece decidere, del tutto gratuitamente, di collegarsi al sito di Fattelo! e scaricare il disegno per poi riprodurlo sul cartone della pizza recuperato.
PAY-WITH-A-TWEET – Chi deciderà di fare la lampada da sé e scaricarne il profilo sa che lo fa in licenza Creative Commons e che aderisce alla modalità pay-with-a-tweet: ovvero, al download della sagoma della lampada si autorizza l’invio di un tweet ai propri follower in cui si dice: “Oggi costruirò la mia lampada…” facendo pubblicità al progetto. Simbolicamente, il proprio messaggio su Twitter diventa la forma di pagamento. In alternativa, si può “pagare” la lampada con un “mi piace” alla pagina Facebook del prodotto.
PROGETTO PARTECIPATO – «L’idea finale è quella di creare oggetti da un progetto partecipato. Per fare questo ci vogliono infrastrutture che vorremmo costruire nel tempo», racconta a Corriere.itAntonio Scribano, di Firenze, che con Daniele che abita ad Ancona, Mattia a Milano e Federico che ora è a Londra compone la squadra di Fattelo!. «Creeremo una piattaforma di open source partecipativo su cui sviluppare nuovi progetti, e successivamente vorremmo creare anche un marketplace in cui le grafiche e le modifiche più votate dagli utenti possano essere messe in vendita: le maggiorazioni sul prezzo della lampada diventeranno le royalties di chi le ha create».
CROWDFUNDING – Eppela e il crowdfunding dunque sono giusto l’inizio: con i 6500 euro raccolti in 42 giorni di visibilità da 94 benefattori (che hanno ricevuto in cambio a casa loro la lampada) i 4 di Fattelo! si dedicheranno a far partire la start-up, aprendo la società, pagando i costi di spedizione delle prime lampade, l’impresa di cartotecnica che per loro si occupa di preparare le fustellature del cartone e tutte le molte spese vive. Dopo questo passaggio, anche sfruttando l’ubiquità del gruppo di lavoro, che si parla via Skype, si potranno chiedere nuovi fondi alle autorità locali, o studiare una forma di venture capital. Intanto la rampa di lancio del sito di crowdfunding italiano è servita, a dare visibilità e una linfa di capitale iniziale. Eppela, dal canto suo, a oggi ha aiutato il finanziamento di 53 progetti, raccogliendo circa 300mila euro, con una percentuale di successo rispetto ai progetti presentati del 35 per cento. Ma a detta dei responsabili, questa dovrebbe crescere da inizio 2013, quando oltre alla possibilità di sovvenzionare i progetti con donazioni via Paypal, questi si potranno sostenere anche pagando con carta di credito.
MILANO – Crea e condividi: le licenze libere compiono dieci anni. Era il 16 dicembre 2002 quando l’organizzazione no profit Creative Commons, guidata da Lawrence Lessig, docente della Stanford University, presentava a San Francisco i primi modelli di copyright “flessibile”. Licenze che davano la possibilità ad artisti, studiosi, giornalisti e istituzioni di rendere più accessibili le loro opere, mantenendo riservati solo alcuni diritti. Una rivoluzione in nome della libera circolazione delle informazioni che si è diffusa in tutto il mondo. E che vede l’Italia in prima fila tra i Paesi che ne fanno un uso maggiore.

LA VERSIONE ITALIANA – Il gruppo di lavoro Creative Commons Italia è stato tra i primi a rispondere all’appello, iniziando già nel 2003 a tradurre le licenze e ad adattarle al sistema giuridico nostrano. Che si tratti di musica, letteratura oppure di un software, gli autori che vogliono condividere gratuitamente le loro creazioni con questo tipo di licenza hanno la possibilità di scegliere tra sei modelli. Dalla semplice attribuzione di paternità dell’opera – ovvero, “copiala, utilizzala per fini commerciali e modificala pure, ma indica sempre chi è l’autore” – alla versione più rigorosa, che ne permette solo la libera riproduzione, vietando però ogni trasformazione od uso commerciale. Dei simboli standard, uguali in tutto il mondo, indicano la decisione dell’autore.

LA RESISTENZA DELLA SIAE – Ma nell’era di Internet e della lotta alla pirateria, quali sono stati gli ostacoli più grandi alla diffusione di CC in Italia? A rispondere al Corriere è Juan Carlos De Martin, codirettore del centro Nexa del Politecnico di Torino, che è alla guida di Creative Commons Italia. Se è difficile stabilire in quali aree si trovino potenziali utilizzatori che ancora non conoscono le licenze CC, soprattutto tra coloro che non frequentano Internet, secondo De Martin lo è altrettanto concludere accordi “concreti” con la SIAE: «Dopo un anno di lavori congiunti tra CC Italia e SIAE, infatti, la proposta di mandato speciale SIAE pensato apposta per autori Creative Commons è finita in un cassetto e da lì non è più uscita, nonostante le nostre insistenze (anche per non buttare un anno di lavoro). Intervenne direttamente anche l’ex CEO di Creative Commons, Joi Ito, ora direttore del Media Lab del MIT, ma senza successo».
L’ITALIA IN PRIMA FILA – Quantificare con precisione quanti facciano uso delle licenze CC nel nostro Paese è quasi impossibile: sono tanti i prodotti offline a cui si possono applicare – dai cd ai libri, alle riviste – e non c’è nessun obbligo di comunicazione. Sebbene non esista un registro di opere CC, tuttavia, i motori di ricerca possono aiutare a capire quante sono le opere presenti sul Web. «Facendo una stima approssimativa, possiamo senz’altro dire che gli oggetti digitali italiani rilasciati con Creative Commons sono nell’ordine di milioni», afferma De Martin. «Tra l’altro l’Italia è uno dei principali paesi a livello internazionale per adozione delle licenze CC». A livello di diffusione, infatti, il nostro Paese è tra quelli più attivi insieme a Spagna, Germania e Francia, con blog e musica come ambiti principali di preferenza.

I TESTIMONIAL DELLA MUSICA – Sono diversi gli artisti internazionali che hanno sposato l’approccio CC, utilizzandolo nei loro progetti: dai Radiohead, che hanno “aperto” a tutti i dati del video “House of Cards”, creato catturando immagini in 3D, ai Nine Inch Nails, che hanno diffuso con licenza Creative Commons l’album “Ghosts I-IV”. In Italia mancano grandi testimonial, ma sui social network continuano a moltiplicarsi i musicisti che scelgono licenze meno vincolanti per le loro canzoni.
TRA UNIVERSITA’, FLICKR E CROWFUNDING – Il Web ospita le applicazioni più interessanti: musica e video da copiare e remixare liberamente, ma anche milioni di foto disponibili con licenza Creative Commons su Flickr. Numerose le risorse anche per chi è interessato a ricerche di alto livello o vuole semplicemente imparare qualcosa di nuovo: «Ci sono molte pubblicazioni scientifiche rilasciate con CC (come le riviste PLoS) e moltissimo materiale didattico (per esempio quello del MIT su ocw.mit.edu)», spiega De Martin. Per chi invece è interessato agli open data e alle loro applicazioni, esistono «molte basi di dati rilasciati con la licenza CC0, ovvero, nel pubblico dominio (si veda ad esempio dati.piemonte.it)». Il boom del crowdfunding su siti come Kickstarter sta aumentando la diffusione di progetti facili da condividere, anche per il meccanismo di scambio implicito al modello di finanziamento: l’autore chiede un aiuto collettivo per realizzare la sua idea, e in cambio promette di mettere a disposizione di tutti i risultati.

LE ASPETTATIVE IN POLITICA – Quello del copyright è un tema caldo non solo per l’industria discografica e per l’editoria, ma anche in politica. Prima delle primarie del Pd, Pier Luigi Bersani si era espresso sull’argomento in un’intervista per il mensile Wired: «Il copyright è fondamentale come stimolo di innovazione e per premiare la creatività, quando poi diventa una rendita di posizione per moltissimi anni si trasforma in un provvedimento contro l’innovazione e la diffusione del sapere. (…) Una parte delle grandi industrie Ict utilizzano il copyright più come arma legale che come stimolo all’innovazione, sono arrivati a brevettare le curve arrotondate di un telefonino. Di questo tema ce ne dobbiamo occupare anche a livello europeo coinvolgendo tutte le parti in causa». Juan Carlos De Martin: «Mi fa molto piacere che il segretario Bersani abbia parlato di questo argomento perché si tratta di temi squisitamente politici, che riguardano diritti fondamentali degli individui – come l’accesso alla conoscenza, la libertà di espressione, il diritto degli autori, l’accesso a un pubblico dominio vitale e in crescita -, tutti temi troppo importanti per lasciarli decidere ai soli economisti, o, peggio ancora, ai soli interessi economici di parte». E sui passi che il nostro Paese dovrebbe compiere, dichiara: «Se l’Italia, col prossimo governo, si facesse promotrice di riforme sia a livello europeo sia a livello internazionale, potrebbe contribuire a far nascere il nuovo sistema regolatorio di cui si avverte così tanto il bisogno».