La sentenza del Consiglio di Stato. Saranno restituiti ai cittadini i maggiori esborsi pagati nelle bollette dell’acqua dal 21 luglio 2011 al 31 dicembre dello stesso anno. L’infrazione delle norme europee ha prodotto un danno di 75 euro per ogni italiano. Nel 2009 l’allora ministro leghista Zaia salvò gli «splafonatori» privando Equitalia del potere di riscossione.

ROMA – Saranno restituiti ai cittadini i maggiori esborsi da loro pagati nelle bollette dell’acqua dal 21 luglio 2011 al 31 dicembre dello stesso anno, cioè dopo il referendum del giugno 2011 che abrogò la remunerazione del 7% del capitale investito e prima dell’applicazione del nuovo regolamento che vale dal primo gennaio 2012. È questa la conseguenza del parere che il Consiglio di Stato ha reso all’Autorità per l’energia in merito agli effetti pratici del referendum in quel periodo in cui alcune norme erano state abrogate e le nuove non erano ancora in vigore.
Il Consiglio di Stato ha deciso che le bollette dell’acqua relative a quei sei mesi successivi al referendum «non sono coerenti» col quadro normativo uscito dalla consultazione, in particolare a essere «in contrasto» con il referendum è il criterio dell’«adeguatezza della remunerazione dell’investimento». Lo stesso organo giurisdizionale ha anche deciso che sia l’Autorità per l’energia a decidere il criterio per restituire ai cittadini quel 7% di remunerazione del capitale pagato in più.
E l’Autorità ha già deliberato: l’ha fatto ieri pomeriggio con una decisione, che probabilmente sarà pubblicata oggi, e che porta il titolo di «Avvio di procedimento per la restituzione agli utenti finali della componente tariffaria del servizio idrico, relativa alla remunerazione del capitale per il servizio idrico integrato, abrogata in esito al referendum popolare del 12 e 13 giugno 2011, con riferimento al periodo 21 luglio 2011-31 dicembre 2011, non coperto dal metodo tariffario transitorio».
L’Autorità ha scartato il metodo del conguaglio in bolletta e ha scelto quello della restituzione secca: saranno ora i gestori, in base alla decisione emessa, a rendere quello che hanno percepito ingiustamente, senza compensarlo in bolletta. Tutto ciò per il periodo che finisce il 31 dicembre 2011. Ma c’è dell’altro. Come abbiamo detto l’Autorità dal 2012 è stata ritenuta competente a emanare il nuovo regolamento tariffario che doveva tener conto dell’abrogazione della remunerazione del 7% del capitale. Quel regolamento è stato emanato pochi giorni fa e vale a decorrere dal gennaio 2012.
Cosa succederà ora? Che l’Autorità dovrà vagliare una per una le tariffe applicate dai 3 mila gestori dal 2012 e fino all’emanazione delle nuove regole, e verificare la loro congruenza al novello regolamento. Nel caso di discrepanze, le aziende idriche dovranno restituire la differenza, ma in questo caso sotto forma di conguaglio in bolletta. Ma per il Forum italiano dei movimenti per l’acqua, che ha guidato la carica del referendum abrogativo, la questione non sta in questi termini. Il nuovo regolamento dell’Autorità non va bene perché «la remunerazione del capitale investito viene reintrodotta sotto mentite spoglie». Secondo il Forum dunque la restituzione del 7% non va operata soltanto sulle bollette comprese tra il 21 luglio 2011 e il dicembre dello stesso anno, ma anche per le bollette che partono dal 2012 e arrivano all’emanazione del nuovo regolamento. Intanto il Forum esulta e considera la pronuncia del Consiglio di Stato una propria vittoria: «I gestori non hanno più alibi: devono ricalibrare le bollette».

La giustizia farà certamente il suo corso. Confidiamo che i magistrati impegnati nell’inchiesta sulle quote latte, che nei giorni scorsi ha scatenato una tempesta politica, individueranno e puniranno i responsabili di una delle più clamorose truffe del nuovo secolo. Nel frattempo, ai cittadini italiani resta sul groppone il conto astronomico che i furbetti del latticino hanno fatto pagare finora allo Stato. Tenetevi forte: 4 miliardi 494 milioni 433.627 euro e 53 centesimi. Ovvero, 75 euro e 62 centesimi per ogni italiano, neonati compresi. Una somma che basterebbe a soddisfare il fabbisogno di latte fresco dell’intera nazione per un anno. Il calcolo l’ha fatto la Corte dei conti in una relazione appena sfornata, nella quale, oltre a numeri terrificanti, c’è una cattiva notizia. Rassegniamoci: recuperare quei soldi sarà quasi impossibile.
Esattamente trent’anni fa, nel 1983, la Commissione europea stabilì per la produzione di latte delle quote nazionali, con la motivazione che un’eccessiva quantità sul mercato avrebbe fatto crollare i prezzi. Per chi non avesse rispettato il plafond erano previste multe salate. L’assegnazione delle quote, com’era intuibile, finì per favorire i Paesi nordici. Ma i produttori italiani, invece di adeguarsi alla nuova situazione, continuarono come se nulla fosse accaduto. Risultato: dopo 12 anni si erano accumulate multe per l’equivalente attuale di circa 2 miliardi di euro. Il caos era totale. C’erano ritardi nell’adeguamento delle normative, dati taroccati, latte che arrivava dall’estero ma figurava italiano, quantitativi enormi di prodotto non fatturato… Che fare? Il governo accollò il conto all’Erario. Da allora in poi, però, gli allevatori che non avessero rispettato le quote, avrebbero dovuto pagare. Eccome.
Peccato che quasi nessuno, dal 1996, ha pagato. Mentre l’Unione europea continuava a incassare dallo Stato italiano i soldi delle multe, che scontava direttamente dai trasferimenti dovuti ai nostri agricoltori. La Corte dei conti dice che dal 1996 al 2010 «l’onere che l’Italia ha sopportato» per «gli esuberi produttivi accertati è quantificato dai 2.537 milioni di euro, versati alla Commissione». Denari che, prevede la legge, avrebbero dovuto restituire gli allevatori «splafonatori», ai quali sono state concesse ripetute agevolazioni, come quella di pagare in comode rate. Ma finora «il recuperato effettivo», avverte la Corte, «è trascurabile».
Il fatto è che ogni mezzo è stato buono per aggirare gli obblighi. Proroghe su proroghe, inefficienze degli organi preposti a far pagare, ricorsi e controricorsi. Per non parlare del valzer dei commissari ad hoc nominati di volta in volta dal governo. E dell’incredibile vicenda toccata all’ex senatore leghista Dario Fruscio, messo dal suo partito a capo dell’Agenzia incaricata di riscuotere le multe, e prontamente rimosso quando si è scoperto che le voleva far pagare sul serio. Ecco che cosa scrivono i magistrati contabili: «Costante è risultata, nel corso degli anni, l’interpretazione delle leggi vigenti da parte delle amministrazioni a favore dei produttori eccedentari». Fino all’ultima norma passata nel 2009, quando era ministro dell’Agricoltura il leghista Luca Zaia, attuale governatore del Veneto, che ha privato Equitalia del potere di riscossione. Riesumando addirittura, per il recupero delle somme dovute, le procedure bizantine di un regio decreto del 1910: centrotré anni fa.
Niente male, considerando che qui hanno scorazzato indisturbati anche i truffatori, responsabili di aver caricato sulle spalle degli ignari contribuenti centinaia di milioni di multe non pagate. Cooperative nate e fallite a ripetizione, migrando per tutto il Nord da Cuneo a Pordenone, inseguite dalla Finanza, dai giudici contabili, dai magistrati. E tutto alla faccia degli allevatori onesti. I quali hanno anche sborsato, dice la Coldiretti, la bellezza di 1,8 miliardi per rilevare o affittare le quote.
In tutta questa storia, anche se la Corte dei conti lo fa appena intuire, ci sono precise ed enormi responsabilità politiche. Perfino rivendicate da Umberto Bossi, il quale due anni fa prometteva sul pratone di Pontida ai Cobas del latte: «Non vi ho dimenticati. La Lega risolverà i vostri problemi». Il rapporto fra Carroccio e Cobas è stato sempre strettissimo. Lo dimostrano i finanziamenti al partito da parte di associazioni quali la Emilat del parlamentare leghista Fabio Ranieri. Ed è incarnato, quel rapporto, nella figura di Giovanni Robusti, storico leader dei Cobas, nel 1994 senatore della Lega cui venne perfino affidato l’incarico di presidente della commissione d’inchiesta sull’Aima, poi nel 2008 europarlamentare. Giusto un mese fa la procura della Corte dei conti ha chiesto di condannarlo a risarcire 182 milioni all’erario per la vicenda delle quote latte in Piemonte dove alcune cooperative battezzate «Savoia» figuravano fittiziamente come acquirenti del latte prodotto in eccesso da alcuni allevatori. A fine giugno 2012 Robusti si era già beccato quattro anni e mezzo di carcere nel processo d’appello che lo vedeva imputato.