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Exploit di Grillo, alla Camera è davanti a tutti. E al Senato nessuno avrà una maggioranza

Monti poco sopra il 10%, Rivoluzione Civile si ferma al 2,2%. Fini fuori dal parlamento. Il centrosinistra vince di poco a Montecitorio, maggioranza solo relativa a Palazzo Madama. Alfano: «Too close to call».

L’Italia che esce dalle urne è un’Italia-puzzle, estremamente frammentata, dove le due principali coalizioni si ritrovano praticamente appaiate, con una leggera prevalenza del centrosinistra (31,6% contro 30,65% al Senato), ma dove il vero vincitore è il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che realizza un exploit senza precedenti riuscendo a raccogliere il 23,79% al Senato e il 25,55% alla Camera, risultato questo che ne fa il primo partito a Montecitorio, seppure solo per una manciata di voti rispetto al Pd. Il quale riesce a sua volta a conquistare il premio di maggioranza solo grazie all’alleanza con Sel (deludente il risultato del partito di Vendola, 3,2%, ma la coalizione comprendente anche il Centro democratico e l’Svp arriva al 29,55%) e ad un misero 0,4% in più, comunque sufficiente per tenere a bada il blocco Pdl-Lega e loro alleati. Il divario tra le due coalizioni alla fine è di appena 120 mila voti.

SENZA MAGGIORANZA – Ma se il voto per la Camera si chiude con una maggioranza certa – grazie al meccanismo che assegna un pacchetto di seggi extra alla coalizione vincente – quello per il Senato si riassume in un’unica parola: ingovernabilità. Nessuna combinazione «soft» – vale a dire Pd-Sel+Monti o Pdl-Lega+Monti – è in grado di arrivare a quella «quota 158» che significa maggioranza assoluta e di conseguenza possibilità di nascita e sopravvivenza di un governo. E alle combinazioni «hard» – da un’improbabile alleanza dell’uno o dell’altro polo con i 5 Stelle alla riedizione della «strana maggioranza» che ha sostenuto il governo tecnico – i leader dicono ora di non credere. Ancora troppo fresche le ferite di una campagna elettorale senza esclusione di colpi in cui tutti hanno detto tutto di tutti e durante la quale i tre ex alleati – Monti, Bersani e Berlusconi – se le sono date di santa ragione. Eppure, alla fine, su questa prospettiva si dovrà pure provare a ragionare. «È evidente a tutti che si apre una situazione delicatissima per il Paese – ha dichiarato in una nota il segretario del Pd, Pierluigi Bersani -. Gestiremo le responsabilità che queste elezioni ci hanno dato nell’interesse dell’Italia». Nel pomeriggio il vice di Bersani, Enrico Letta, aveva evocato il ritorno immediato alle urne, ma poi in serata aveva corretto il tiro.

«TOO CLOSE TO CALL» – Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, che lunedì pomeriggio aveva precipitosamente dichiarato che il centrodestra era maggioranza relativa al Senato (i dati sono poi progressivamente cambiati con il procedere dello spoglio), attorno alla mezzanotte ha diffuso una nota sottolineando che i dati del Viminale «sono solo ufficiosi» e «soggetti inevitabilmente ad un margine di errore» «certamente superiore allo scarto dei voti, davvero minimo, che si registra tra le prime due coalizioni della Camera». E ha chiesto al ministero di dichiarare il «too close to call», come avviene negli Usa: scarto troppo ridotto per proclamare un vincitore.
«Alfano non esasperi il clima negando la realtá. Il centrosinistra ha ottenuto più voti alla Camera e al Senato» replica immediatamente Nico Stumpo, responsabile organizzazione del Pd.

GRILLO: «NIENTE INCIUCI» – I grillini vengono ora tirati per la giacchetta e chiamati ad assumersi le responsabilità istituzionali che derivano dall’avere raccolto il consenso di un elettore su quattro. Ma Beppe Grillo, nel videomessaggio diffuso quando il quadro era ormai sufficiente chiaro, ha già smontato questa prospettiva: «Non faremo inciuci, in Parlamento daremo scappellotti a tutti». Il suo popolo ha iniziato a fare festa, alle scelte da compiere in aula si penserà a tempo debito.

DELUSIONE MONTI – Deludente il risultato del blocco centrista che fa capo al premier Mario Monti, che non arriva al 10% (9,13%) al Senato e supera la doppia cifra a stento alla Camera (10,56%). Il Professore si è detto personalmente soddisfatto («in 50 giorni abbiamo raccolto oltre 3 milioni di elettori»), ma i suoi alleati Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini hanno raccolto consensi irrisori (rispettivamente l’1,79 e lo 0,76% alla Camera). Per Fini c’è anche la clamorosa esclusione dalla Camera, di cui è presidente uscente. Percentuale bassissima anche per Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia che resta poco sopra il 2% e quindi non entrerà in Parlamento, non raggiungendo il quorum del 4%. Dalle aule parlamentari scompare dunque anche uno dei volti che hanno animato il dibattito negli ultimi anni, quello di Antonio Di Pietro. Del risultato negativo Ingroia dà la colpa al Pd: «Faccia mea culpa, è sua la responsabilità del mancato accordo, ha fatto campagna contro di noi».

IL «RIBALTONE» DEI DATI – La giornata elettorale era iniziata alle 15 con la notizia di una vittoria netta del centrosinistra sia alla Camera sia al Senato, una fotografia uscita dagli instant poll – sia quelli dell’Istituto Piepoli per la Rai, sia quelli di Tecné per Sky -, che davano il blocco Pd-Sel avanti di una decina di punti rispetto al principale Polo contendente. Ma l’euforia del centrosinistra è durata soltanto un’ora, giusto il tempo che fossero diffuse le prime proiezioni che davano conto di una situazione completamente diversa. Anche la Borsa ha dovuto prendere atto del «ribaltone» dei dati: dopo avere accolto con entusiasmo il responso degli instant poll che delineavano una maggioranza certa sia alla Camera sia al Senato ha dovuto prendere atto del rischio di ingovernabilità e subito il listino FtseMib di Piazza Affari e lo spread sui titoli del tesoro ne hanno risentito.

LE REGIONALI – Secondo gli instant poll, che a questo punto vanno presi decisamente con le pinze, alle regionali sarebbe stato premiato il centrosinistra. Nel Lazio si prospetterebbe la netta vittoria di Nicola Zingaretti, accreditato del 52-54% contro il 28-30% di Francesco Storace secondo un primo sondaggio e di un vantaggio meno netto in un secondo (39% contro 28%). In Lombardia, invece, sarebbe un testa a testa tra i due principali contendenti, con l’esponente del centrodestra Maroni in lieve vantaggio sul portacolori del centrosinistra Ambrosoli: 38% a 35% secondo un sondaggio diffuso da Sky in tarda serata (un primo exit poll li dava entrambi tra il 42 e il 44%). Nel Molise, poi , Paolo Di Laura Frattura, candidato del centrosinistra, si ritroverebbe con una forchetta di voti tra il 47 e il 49%, contro quella del 26-28% attribuita a Michele Iorio, candidato del centrodestra. Lo spoglio delle schede per i consigli regionali partirà alle 14 di martedì.

L’AFFLUENZA – Dopo i dati in calo della domenica, il lunedì non ha invertito la tendenza: l’affluenza finale è risultata in forte calo rispetto alle precedenti politiche del 2008. Alla Camera ha votato il 75,17% degli aventi diritto, a fronte del 80,50% del 2008 (-5,33 punti percentuali). Al Senato 75,19% (era il 80,46% cinque anni fa). L’accorpamento con le politiche ha invece trascinato in alto il numero di votanti delle regionali, risultato in netta ascesa: in Lombardia, Lazio e Molise ha votato per i governatori il 74,6% contro il precedente dato del 63,1%, ovvero 11,5 punti percentuali in più. La maggiore affluenza tra le tre Regioni se l’è aggiudicata la Lombardia, con un totale del 76,7%, 12 punti percentuali in più rispetto al precedente 64,63%; il Lazio ha invece raggiunto il 72% (contro un precedente del 60,9%), mentre il Molise ha archiviato un dato di affluenza del 61,6% (59,8%)

Alessandro Sala

Exploit di Grillo, alla Camera è davanti a tutti. E al Senato nessuno avrà una maggioranzaultima modifica: 2013-02-26T16:04:45+01:00da
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