QUARTI DI FINALE. Segnano Alaba e Muller, Buffon imperfetto in una serata in cui tutti sono sotto tono. Mercoledì il ritorno a Torino. A Parigi l’andata dei quarti di finale termina 2-2. Ritorno mercoledì 10 al Camp Nou.
MONACO DI BAVIERA – Il maligno tiro di Alaba toccato da Vidal e l’indecisione di Buffon dopo 23 secondi aprono la strada alla peggior disfatta della Juventus da quando Antonio Conte è salito in cattedra, pardon, in panchina. Il secondo gol di Muller è simile. Tiro dal limite di Luiz Gustavo, goffa respinta del portierone, lo spilungone Mandzukic (in fuorigioco: per la famosa legge di Murphy quando le cose vanno male andranno peggio) manda in rete il ragazzo delle giovanili bavaresi. Questo per dire che questa sera gelida, livida, maledetta, tutti hanno tradito, tutti sono stati al di sotto delle loro aspettative.
DEBITO D’OSSIGENO E REMUNTADA– Non si tratta solo del risultato, ma della difficoltà dimostrata per novanta minuti. Mai vista Madama così in ambasce. La Juventus ha imparato che l’Europa, sopra una certa asticella, è un luogo pericoloso dove manca l’ossigeno, come una vetta abissale. Il Bayern Monaco sfrutta due tiri da fuori, se vogliamo due episodi, ma ha molte occasioni per raddoppiare, potrebbe chiudere anche più pesantemente la partita di andata dei quarti di finale di Champions League. Lo 0-2 è anche misericordioso per i bianconeri: Robben, Muller, Ribery mancano il gol che avrebbe dato al risultato un punteggio molto più pesante. Chiellini sostiene: «Non ci arrendiamo». Giusto, la «remuntada», come hanno dimostrato altre storie, è possibile, a patto di giocare in tutt’altro modo, di ristabilire la solidità del gioco della Juve e di non sbagliare nulla. Cioè di interpretare una partita completamente diversa da quella dell’Allianz Arena. Solo una Juve come quella capace di dominare in Italia da 18 mesi può mettere in difficoltà la squadra tedesca.
LA LEZIONE DA IMPARARE – La differenza, infatti, oltre che di gioco e di atteggiamento, è stata anche tecnica. Ribery, Robben, Mandzukic, Muller, per parlare del pacchetto offensivo (ma il discorso va esteso anche difensori e centrocampisti) hanno vinto tutti i duelli. La Juventus e Conte normalmente imparano dalle lezioni. E questa è una lezione importante sul cammino di una squadra che sta costruendosi un grande futuro.
PARIGI – Col Barcellona è un po’ sempre la stessa storia. Siccome tira pochissimo in proporzione a quanto tiene la palla, a volte (soprattutto fuori casa) dà l’impressione di essere meno pericoloso del solito e dell’avversario che ha di fronte. E così, quando il Paris Saint-Germain di Ancelotti al 5’ dell’andata dei quarti di finale di Champions quasi segna, grazie a un pallone calciato da Busquets sul proprio palo per contrastare Lavezzi lanciato di petto da Ibra, o quando due tiri da fuori (di Pastore e dello stesso Ibra) costringono Valdes a respinte complicate, la tentazione è quella di pensare che il Barcellona rischi una seconda San Siro.
IL GOL CATALANO SI AVVICINA – Solo che le trame blaugrana (bisognerebbe dire gialloarancio come la maglia da trasferta, ma meglio non nominarla) sul prato del Parco dei Principi sono tutt’altro che fini a se stesse. Iniesta mette fuori di poco un destro in diagonale a giro, e almeno tre volte la banda di Vilanova (tornato in panchina dopo le cure newyorkesi) va assai vicina al tiro decisivo.
L’ASSIST «NO LOOK» E MESSI – Il risultato resta sullo 0-0 ma Xavi, Iniesta, Messi, Ibra, Lavezzi, Thiago Silva, Lucas (che sembra proprio il fenomeno che dicono) e il lento ma ineccepibile Beckham fanno tutti cose che valgono il famoso prezzo del biglietto. Nell’elenco dei fenomeni non c’è Dani Alves, ma solo fino al 38’, quando s’inventa uno strepitoso assist di esterno destro da tre quarti campo, quasi senza guardare. Eppure lui l’ha visto, Messi, in pieno movimento verticale in area. La Pulce d’oro non ci pensa nemmeno a fermare la palla: la lascia correre, rimbalzare una volta e quando è il momento tocca in diagonale e infila. Passano quattro minuti e un suo sinistro gira intorno all’incrocio dei pali, dopodiché Leo si ferma davanti alla panchina, toccandosi un ginocchio che sanguina tipo sbucciatura, ma è una lesione al bicipite femorale.
LA RIPRESA – Al suo posto, nella ripresa, entra Fabregas. E, se cambia qualcosa, è in meglio. Per 25 minuti buoni il Barcellona fa più o meno quello che vuole: del Psg si vede solo un favoloso tocco d’esterno di Ibra per Matuidi, che viene chiuso. Dall’altra parte, al 63’ Sanchez fa il possibile per farsi chiudere, dopo essere stato messo da solo davanti alla porta (ancora) da Dani Alves, che 5’ dopo mette fuori di pochissimo anche una punizione per fallo tattico di Beckham, ammonito e sostituito da Verratti.
TRE GOL IN 10′ – Saranno i cambi di Ancelotti (Ménéz per Lavezzi, Gameiro per Pastore), sarà la stanchezza per tanta applicazione, ma per un attimo il Barcellona riesce anche a incantare se stesso. Tra il 75’ e l’80’ i blaugrana rallentano, il possesso palla scende dall’80 al 65% e il Psg trova il pareggio: irregolare, perché sulla ribattuta del palo colpito di testa da Thiago Silva, Ibra è in fuorigioco netto. Ma è l’1-1, che però sul Barça ha l’effetto di uno spaventino tipo quello patito col Milan. Perciò la macchina riparte, e a un minuto dalla fine piazza Sanchez davanti a Sirigu, che lo stende: è rigore, segnato da Xavi al 90’. Se Matuidi fa il 2-2 sul fischio finale è per un tocco di Bartra che spiazza Valdes. Il ritorno mercoledì prossimo, al Camp Nou, probabilmente senza Messi, di certo senza Mascherano, squalificato e con un legamento rotto. Una brutta partita non sarà di certo.