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«Nella plancia rimasero isolati». Si indaga sul blackout a bordo

Genova, la tragedia nel porto. Presto la perizia sui motori. Lutto in piazza, proteste dei portuali.

GENOVA – Un dato è certo: quella sera i comandi della Jolly Nero non rispondevano. E la causa potrebbe essere un problema di comunicazione della sala macchine con la plancia, al punto che il comandante avrebbe deciso di adottare un sistema di dialogo alternativo. Per fare chiarezza anche sull’ipotesi di blackout, emersa nel corso degli interrogatori dei membri dell’equipaggio della nave portacontainer che martedì scorso è andata schiantarsi sulla Torre di controllo del porto di Genova, demolendola, la Procura del capoluogo ligure si appresta a disporre degli accertamenti tecnici sul funzionamento del motore e sulla strumentazione di bordo.

«Bisogna effettivamente capire l’incidenza di questi aspetti sulla sciagura», ha confermato il procuratore capo Michele Di Lecce, preannunciando il conferimento dell’incarico per questa mattina. Nel frattempo il suo sostituto Walter Cotugno ha affidato la scatola nera (fra cui il Voyage data recorder, Vdr) del cargo alla polizia postale per la duplicazione del contenuto. Molte verità potrebbero essere scritte lì dentro. Orari, rotta, rumori, ma soprattutto i colloqui fra il comandante e gli operatori della Torre di controllo e i comandanti dei rimorchiatori che stavano accompagnando la Jolly fuori dal porto.

Dalle testimonianze fin qui raccolte la pista più accreditata è quella del blocco dei comandi di plancia, dove a dirigere le manovre era Roberto Paoloni, assistito dal pilota «esterno» della Capitaneria di porto Antonio Anfossi, entrambi indagati per omicidio colposo plurimo, reato che potrebbe estendersi all’attentato alla sicurezza dei trasporti. «L’avanti non prende, la macchina non prende», si sarebbe allarmato Anfossi quando la nave si trovava ormai a una settantina di metri dal molo Giano, dove si è schiantata di lì a poco, una quarantina di secondi. «Mi aspettavo un colpo di macchina in avanti che non c’è stato e allora ho tirato a tutta per tentare di spostare la nave», ha raccontato ieri Marco Ghiglino, il comandante del rimorchiatore di poppa della Jolly Nero. «Poi ho visto venir giù tutto e una nuvola di polvere».

Secondo Ghiglino il cargo ha impattato l’edificio attiguo alla Torre piloti, il quale sarebbe imploso provocando il crollo della stessa con le tragiche conseguenze scritte nel bilancio della tragedia: 7 morti, 4 feriti e ancora due dispersi. Le ricerche del maresciallo Francesco Cetrola e del sergente Gianni Iacoviello, i militari della Guardia costiera che potrebbero essere rimasti intrappolati nell’ascensore finito nelle acque del bacino, sono infatti ancora in corso. Nel frattempo si muovono le difese e in particolare quella del pilota Anfossi, per il quale sono scesi in campo gli avvocati e professori Carlo Golda e Francesco Munari. «Il pilota suggerisce la rotta e assiste il comandante nelle manovre ma non è responsabile e non effettua le stesse, restando ogni decisione finale al comandante», ha puntualizzato Golda.

Genova ha vissuto ieri una giornata di lutto e commemorazione delle vittime della sciagura. Nel corso della manifestazione di piazza si sono levate rumorose proteste da parte dei lavoratori portuali: «Basta morti, noi sempre sacrificati, le istituzioni ci difendano». Dietro a loro, protetto dalla polizia, un anomalo terzetto: i cugini Stefano e Ignazio Messina e Andrea Gais, gli armatori della Jolly Nero.

Andrea Pasqualetto

«Nella plancia rimasero isolati». Si indaga sul blackout a bordoultima modifica: 2013-05-10T16:10:57+02:00da
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