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Lavoro e welfare, riforma in quattro mosse

GLI INTERVENTI A «COSTO ZERO». Premi per chi assume, meno vincoli per apprendistati e partite Iva, le controversie. I temi «caldi» segnalati dagli esperti.

Il contratto temporaneo attualmente prevede l’avvio senza causale solo per il primo rapporto a termine e per una durata non superiore a 12 mesi senza possibilità di proroga. Chi ha lavorato fino a 6 mesi in un’azienda, se vuole ripartire con lo stesso datore di lavoro, deve far passare un intervallo di 60 giorni che diventano 90 se il contratto precedente è durato più di 6 mesi. Adesso si pensa di ridurre gli intervalli a un periodo di 20 o 30 giorni.

Le aziende e i Consulenti del Lavoro propongono di sospendere, fino al 31 dicembre 2016, anche i periodi di interruzione obbligatoria tra due contratti a termine. Andrebbe previsto anche un periodo straordinario di 36 mesi entro cui tutte le aziende possono avviare nuovi rapporti a termine. E questo anche se in passato tra azienda e lavoratori sia già stato raggiunto il tetto di 36 mesi. Ma la proposta più condivisa è un’altra: introdurre forme di incentivazione per la stabilizzare i rapporti. Per farlo basterebbe abbassare per tre anni il costo del lavoro per chi assume a tempo indeterminato.

L’apprendistato è considerato, potenzialmente, uno degli strumenti più efficaci per l’inserimento occupazionale dei giovani. La riforma Fornero ha inserito dei vincoli di stabilizzazione dei lavoratori apprendisti come condizione necessaria per avviare nuovi rapporti di apprendistato. Ma se lo scopo (evitare l’abuso) è lodevole, la conseguenza (vincoli e complicazioni) è penalizzante. Insomma, se le aziende vogliono incrementare i propri contratti di apprendistato devono prima assumere uno quota di quelli che hanno già in organico. La percentuale è fissata nel 30% degli apprendisti avviati, per nei primi tre anni di vita della legge, il 50% oltre i tre anni.
Da tempo gli esperti del settore sostengono che per sviluppare questo contratto è necessario eliminare le norme che obbligano i datori di lavoro alla stabilizzazione lasciando inalterate quelle previste da contratti nazionali di lavoro. Inoltre, deve essere introdotta una definizione di legge della «formazione on the job».

Altro obiettivo della riforma Fornero era quello di regolamentare il «popolo delle partite Iva» evitando i rapporti di lavoro mascherati. Attualmente viene considerato lavoratore dipendente anche una partita Iva che svolge periodi di lavoro superiori a 8 mesi in un anno ripetuti per due anni. Inoltre il compenso ricevuto da uno stesso datore di lavoro non può superare l’80% del fatturato complessivo del collaboratore, il quale non può avere un posto fisso in azienda. Vincoli simili sono presenti nelle collaborazioni a progetto e nella associazioni in partecipazione. I vincoli nati per indurre i datori di lavoro a regolarizzare le partite Iva sembrano più penalizzare che favorire i lavoratori. Per il futuro potrebbe essere più utile rimuovere i vincoli affinché le opportunità occupazionali possano passare anche dal lavoro autonomo. Aumentano, persino tra le partite Iva, coloro che ritengono opportuno eliminare l’intero impianto normativo.

Una delle «bandiere» della riforma del lavoro è stata l’introduzione di un nuovo rito speciale per i licenziamenti tutelati dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Mentre tutte le altre controversie dei rapporti di lavoro continuano a essere disciplinate dal rito ordinario, per l’articolo 18 la riforma Fornero ha introdotto due fasi davanti al Tribunale del Lavoro, prima dell’accesso alla Corte d’Appello ed eventualmente il ricorso alla Cassazione. Il primo grado è dunque «bi-fasico», perché fa precedere la fase di merito vera e propria, da una preliminare, sommaria, snella nelle forme.

Il Giudice provvede con una ordinanza, decidendo della legittimità del licenziamento tendenzialmente in un’unica udienza, nella quale anche la fase istruttoria è ridotta all’osso. In caso di ricorso contro questo provvedimento, è prevista l’opposizione davanti al medesimo Tribunale, con un ricorso analogo a quello ordinario. Il risultato è che si crea una sorta di «doppio primo grado» che ha appesantito il rito del lavoro senza giovare alla celerità della definizione della controversia.

Isidoro Trovato

Lavoro e welfare, riforma in quattro mosseultima modifica: 2013-05-21T12:48:58+02:00da
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