È di due giorni fa la notizia della decisione della Chiesa anglicana di chiedere scusa a Charles Darwin per le aspre critiche che gli mosse quando nel 1859 a Londra uscì il suo libro. Con il beneplacito del primate, l’arcivescovo di Canterbury, sul sito ufficiale degli anglicani è stato messo in rete un articolo nel quale si legge: «Charles Darwin, la Chiesa Anglicana ti deve delle scuse, anche per il fatto che la sua incomprensione iniziale ha portato a numerosi fraintendimenti». Ma c’è anche chi, in Italia, rivolge appello analogo alla Chiesa, chiedendole di «assolvere» l’evoluzionismo: è il teologo Vito Mancuso – autore di best seller sull’anima prefati dal cardinale Carlo Maria Martini – le cui posizioni contrastanti con la teologia cattolica sono state oggetto di discussione e di critiche nei mesi scorsi. Monsignor Ravasi ha in qualche modo anticipato la risposta all’appello del teologo spiegando che «non c’è incompatibilità a priori fra le teorie dell’evoluzionismo e il messaggio della Bibbia e della teologia».
Il «ministro della cultura» vaticano ieri ha presentato il programma di un importante convegno internazionale, «L’evoluzione biologica: fatti e teorie. Una valutazione critica 150 anni dopo l’Origine delle specie», che si svolgerà a Roma, per iniziativa della Pontificia Università Gregoriana e della Notre Dame University, sotto il patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura nell’ambito del progetto Stoq (Science, Theology and the Ontological Quest). Ai giornalisti, Ravasi ha ricordato la prima significativa apertura all’ipotesi evoluzionista presente in un documento pontificio: l’enciclica Humani generis pubblicata da Pio XII nel ’50, nella quale si afferma che la Chiesa «non proibisce» che la dottrina dell’evoluzione «sia oggetto di ricerche e discussioni» da parte di coloro che ne sono competenti «in tutti i campi». Inoltre, è stato ricordato il discorso pronunciato da Giovanni Paolo II il 12 ottobre ’96 all’Accademia delle Scienze, nel quale l’evoluzione non è più considerata «una mera ipotesi», ma una «teoria che si è progressivamente imposta all’attenzione della ricerca».
«Sull’evoluzionismo ci impegneremo in maniera particolare» ha promesso Ravasi ricordando che il dialogo tra scienza e fede è «particolarmente sostenuto» anche da Benedetto XVI e deve essere ispirato a «tre virtù». La prima è «una ricerca seria, non approssimativa», volta a «superare luoghi comuni e stereotipi, arroganze, radicalismi e complessi di inferiorità», la seconda è «l’umiltà, che poi è la coscienza del limite», in virtù della quale «scienza e religione non sono in contrasto», la terza è «l’ottimismo nei confronti della scienza che può purificare la religione dalla superstizione», mentre «la religione può purificare la scienza dai suoi falsi assoluti», come affermato nella Fides et Ratio da Giovanni Paolo II.
La Santa Sede, dunque, vuole guardare avanti, ed è convinta di interpretare anche l’esigenza di un mondo scientifico che, «a parte alcune frange fortemente ideologizzate, che sbeffeggiano chi si ostina nella fede come fosse un relitto del paleolitico, sembra essere pronto ad accettare che non basta l’approccio empirico per dare conto della realtà». Dal convegno, al quale parteciperanno autorevoli scienziati credenti e non credenti, Ravasi si attende «fotografie della realtà da diversi punti di vista». E soprattutto la fine «dell’era degli anatemi e del sopracciglio alzato» da entrambe le parti, per far posto a un sereno confronto finalizzato a capire l’uomo e il mondo. Una linea che il «ministro della cultura» vaticano considera non nuova: «Lo stesso Galileo – ha affermato – non fu mai condannato davvero, il Pontefice non firmò mai il decreto perché il dibattito sulle sue teorie era vivo anche dentro la Chiesa».