Greggio ai minimi. Scajola: anche con prezzi così bassi continueremo a investire nel nucleare
LONDRA—Davanti a 27 ministri di Paesi produttori e consumatori e ai dirigenti di 15 società riuniti a Londra per l’Energy Meeting, Gordon Brown ammonisce che le «fluttuazioni selvagge» nei prezzi del petrolio devastano l’economia globale. Il primo ministro britannico elenca numeri come una calcolatrice: negli ultimi 12 mesi il barile è schizzato da 60 a 147 dollari prima di ripiombare a 40 e questo è costato alle economie del pianeta 150 miliardi di dollari. Il rischio ora è che gli investimenti nell’industria petrolifera e nella altre fonti di energia tornino a stagnare e che la capacità di produrre greggio cali proprio quando la domanda reagirà alla ripresa economica». Secondo Brown questo scenario costerebbe a tutti 1.3 trilioni l’anno entro il 2030, per questo serve un accordo tra produttori e consumatori, un «internazionalismo visionario» come quello che ha salvato il sistema bancario. Tutti applaudono. Ma poi il segretario generale dell’Opec va a dire alla Bbc che in realtà «il signor Brown è confuso sulla questione». Abdalla Salem El-Badri sostiene che il Regno Unito ha guadagnato più della maggior parte dei Paesi dai prezzi alti, perché le sue tasse sul petrolio sono le più pesanti in Europa: «Tagli le tasse e poi potrà parlare con noi». Poco dopo il presidente dell’Opec Chakib Khelil annuncia che «continueremo a ridurre la produzione finché i prezzi non si stabilizzeranno». E sono passati solo tre giorni dalla decisione di pompare 2,2 milioni di barili in meno al giorno.
Sulla necessità di stabilizzare ed evitare la volatilità almeno c’è consenso. I sauditi pensano a 75 dollari che consentirebbero profitto e garantirebbero investimenti anche nello sviluppo di nuove fonti energetiche alternative. Ieri il greggio in consegna a febbraio è rimasto ancorato a 41 dollari a New York, mentre quello per gennaio si è fermato a 34: che, oltre a essere ai minimi da 5 anni, rappresenta anche un’umiliazione per l’Opec. Il ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola dice che «forse 60 dollari potrebbero essere una quotazione ragionevole, perché la preoccupazione non è data solo dal prezzo troppo alto, ma anche dal troppo basso, che non permette investimenti necessari a nuove perforazioni e alla ricerca, e alla lunga pone le condizioni per un aumento del costo». L’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni osserva «che il prezzo resterà basso per alcuni mesi e questo darà una spinta alla ripresa, anche se un equilibrio potrebbe essere tra 60 e 70». Scajola conclude che anche con il petrolio così basso il ritorno al nucleare è competitivo: «Ora l’Italia dipende per l’energia all’85% dall’estero, noi lavoriamo per avere un 25% dal nucleare e un 25% da fonti rinnovabili». Per raggiungere questo obiettivo «contiamo di cominciare la costruzione della prima centrale nucleare in Italia entro fine legislatura ».