Brusca: «il giudice borsellino unico ostacolo. nessuno in grado di avvicinarlo». Il procuratore nazionale Antimafia Grasso: «La strategia della tensione non ha mai abbandonato l’Italia. C’era il pericolo di una deriva che portasse a mutamenti politici»
PALERMO – La Dia ha eseguito 4 ordinanze di custodia cautelare del Gip di Caltanissetta per 4 indagati nella nuova inchiesta sulla strage di Via D’Amelio, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. Riguardano uno dei presunti mandanti, il boss Salvatore Madonia, e due presunti esecutori, Vittorio Tutino e Salvatore Vitale. Un’altra ordinanza è stata eseguita per un pentito, Calogero Pulci per falsa testimonianza.
LE ACCUSE – Il provvedimento è stato notificato dalla Dia in carcere a Madonia e Tutino, perchè già detenuti, e nella casa di cura in cui è ricoverato, agli arresti domiciliari, per gravi patologie a Vitale. L’ordinanza scaturisce dall’inchiesta aperta dalla procura nissena sulle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza che ha portato alla revisione dei processi «Borsellino» e «Borsellino-bis» davanti la Corte d’appello di Catania. Lo stesso pentito è indagato, così come Madonia, Tutino e Vitale, per strage aggravata. Ma agli arrestati sono stati attribuiti anche altri reati quali l’aver agevolato l’associazione mafiosa e avere agito anche per fini terroristici. Tutino è accusato di aver effettuato, assieme a Spatuzza, il furto della Fiat 126 da utilizzare per la strage. Avrebbe anche procurato due batterie e un’antenna, necessari per alimentare e collegare i dispositivi di innesco dell’esplosivo collocato nella Fiat 126 parcheggiata in via D’Amelio. Salvatore Vitale, già condannato per il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, avrebbe procurato l’esplosivo i congegni elettronici per l’autobomba, e sarebbe stato la «talpa» degli attentatori in via D’Amelio, dove abitava in un appartamento situato al piano terra dello stesso edificio in cui viveva Rita Borsellino, la sorella del magistrato. Da quella posizione «privilegiata», Vitale secondo l’accusa fornì supporto logistico per la preparazione della strage e informazioni indispensabili circa la presenza e le abitudini della famiglia.
DICHIARAZIONI – Secondo la Procura di Caltanissetta, «questa conclusione è legittimata, tra l’altro, dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Giovanni Brusca a proposito dell’ordine ricevuto da Salvatore Riina di sospendere, nel giugno 1992, l’esecuzione dell’attentato omicidiario nei confronti dell’onorevole Calogero Mannino perchè vi era una vicenda più urgente da risolvere». Mannino, ex ministro democristiano e segretario della Dc siciliana, è stato di recente iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Palermo nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa, per ipotetiche pressioni che, temendo di essere ucciso, avrebbe esercitato all’epoca delle stragi per un ammorbidimento del regime carcerario del 41 bis. L’ordine dato dal boss corleonese di interrompere la preparazione dell’agguato contro Mannino, secondo i magistrati di Caltanissetta, «appare rivelatore della decisione da parte del Riina quanto meno di anticipare l’esecuzione del progetto omicidiario già deliberato – dalla commissione provinciale di Palermo di cosa nostra nel dicembre del 1991 – nei confronti del dottor Paolo Borsellino». Borsellino, due giorni dopo la strage di Capaci, aveva incontrato il capo del Ros dei carabinieri Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno, e «il primo luglio 1992, con certezza, il dottor Borsellino aveva incontrato al Ministero dell’Interno il capo della polizia Parisi ed il prefetto Rossi, nonchè il ministro Mancino», ricostruiscono i pm a proposito dei contatti istituzionali del magistrato nei giorni dell’approccio dei carabinieri con l’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, indicato come il tramite della trattativa.
LA TRATTATIVA – Interrogato il 17 marzo 1993, Ciancimino tentò però di collocare l’inizio della trattativa in un momento successivo all’attentato di via D’Amelio e riferì «di avere cominciato i colloqui con De Donno dopo la strage Borsellino, andando contro le stesse successive ammissioni del capitano De Donno, e le stesse dichiarazioni del colonnello Mori, che riferiscono entrambi di un inizio dei colloqui con Vito Ciancimino da parte di De Donno già nel mese di giugno del 1992». Interrogato dai magistrati, Brusca sull’anticipazione dell’attacco contro Borsellino, ha detto: «Non ho mai parlato con Riina del fatto che il dottor Borsellino sia stato ucciso in quanto ostacolo alla trattativa. Si tratta di una mia interpretazione basata sulla conoscenza che ho dei fatti di Cosa Nostra ma anche delle vicende processuali cui ho partecipato. Mi venne detto da Riina che vi era “un muro” da superare ma in quel momento non mi venne fatto il nome di Borsellino».
L’OSTACOLO – La nuova inchiesta sull’attento considera proprio questo il vero movente di Cosa Nostra: rimuovere l’intralcio rappresentato da Borsellino alla prosecuzione dei contatti con esponenti delle istituzioni sul papello, le richieste di Riina allo Stato. «Secondo me -ha messo a verbale Brusca- arrivò a Riina il messaggio: c’è un ostacolo. Ma non c’era nessuno in grado di avvicinare Borsellino per indurlo a mitigare il suo rigore».