Un anno fa ci furono polemiche furiose e l’apertura di un lungo dibattito che, però, non ha portato a sostanziali modifiche del sistema dei test. Le prove per l’ammissione alle facoltà a numero programmato sono tornate come ogni anno e l’unica, sostanziale, novità è quella relativa alla possibilità che dal prossimo anno possano essere trasformate in selezioni nazionali. Almeno per facoltà come Medicina dove la concorrenza è altissima. In pratica in ogni sede universitaria si sosterrebbero le prove per il totale dei posti a livello nazionale, con la possibilità di entrare in altre facoltà se il proprio punteggio fosse abbastanza alto. «L’ideale – spiega Lucio Annunziato, coordinatore della commissione docenti a Monte Sant’Angelo – sarebbe stilare una graduatoria nazionale assoluta e distribuire gli studenti idonei in base alle preferenze indicate da ciascuno. Purtroppo questo criterio è già stato adottato con scarso successo qualche anno fa per i test di odontoiatria: gli studenti italiani non sembrano ancora pronti a una mobilità assoluta». Proprio dagli studenti arrivano gli attacchi più duri contro il sistema di selezione. «Il numero chiuso all’università è un sistema da cambiare» spiegano in una nota i rappresentanti della Confederazione degli Studenti che stanno promuovendo una raccolta di firme a sostegno della petizione contro le facoltà a numero chiuso. «Siamo convinti che l’attitudine di uno studente alla professione medica non si possa valutare con dei test a riposta multipla, ma solo attraverso un percorso di studio in grado di far emergere capacità e professionalità» ha commentato Rosario Pugliese, tra i promotori della petizione. In un solo giorno raccolte circa 500 firme per la petizione che, nelle prossime settimane, sarà inviata al Ministro dell’università Mariagrazia Gelmini con la quale gli studenti chiedono l’immediata abolizione dei test d’ingresso all’università. L’iniziativa proseguirà nei prossimi giorni e coinvolgerà altri atenei italiani. Al di là delle polemiche il sistema a quiz resta comunque da gestire. Con atenei come quello di Salerno che si sono impegnati per garantire la massima trasparenza. «Esprimo grande soddisfazione per il clima di serenità e trasparenza in cui si è svolta la prova», ha detto il rettore Raimondo Pasquino che, assieme al comitato dei garanti costituito dai prefetti di Avellino e di Salerno, Ennio Blasco e Claudio Meoli,il presidente dell’ordine dei medici salernitano Bruno Rovera e il direttore generale dell’ospedale San Giovanni di Dio di Salerno Attilio Bianchi, ha costituito il comitato dei garanti per il corretto svolgimento della selezione. Novità per la Sun che, a differenza degli anni scorsi, ha scelto l’aulario di Santa Maria Capua Vetere per far sostenere i test, decongestionando Napoli che l’anno scorso aveva in contemporanea le prove a Monte Sant’Angelo e quelle della Sun alla Mostra d’Oltremare. Per facoltà che mal sopportano il numero programmato c’è chi, in controtendenza, sceglie il numero chiuso anche se non fissato da norme. Tra le facoltà di Giurisprudenza in Campania, quella del Suor Orsola Benincasa di Napoli, si distingue infatti per una peculiarità: è l’unica a numero chiuso. Non più di 150 iscritti ogni anno, per il preside Franco Fichera, questa è la prima garanzia di rigore e professionalità. «Il numero programmato – spiega Fichera – ci consente di far valere più agevolmente l’esigenza della frequenza, il che si traduce in contatti più intensi con gli allievi e in una inferiore percentuale di fuoricorso». Una facoltà più vicina agli studenti, per una didattica più attenta, potrebbe essere il motto. «Per ogni insegnamento – continua il preside – prevediamo una prova scritta: fondamentale è la capacità orale, ma non va trascurata l’abilità della scrittura. A proposito è inserito nel percorso di studi uno specifico corso dedicato alla lingua italiana e alla stesura di testi giuridici e nel contesto si colloca pure l’insegnamento, previsto al primo anno, di “introduzione agli studi giuridici”, un ciclo di lezioni sulle trenta nozioni fondamentali della materia, una sorta di dizionario di base da tenere ben impresso».
Un laureato vive sette anni di più di un coetaneo | |
Più studi, più vivi. Una ricerca della Bocconi quantifica l’aspettativa di vita secondo il livello di istruzione: un laureato di 35 anni vive 7,6 anni più di un coetaneo con il solo diploma di scuola media In Italia, chi ha un titolo di studio basso, licenza elementare o media, vive meno di chi ha conseguito una licenza superiore o una laurea: mediamente da 7,6 a 5,5 anni in meno a seconda delle classi di età, se uomo, e da 6,5 a 5,3, se donna. La prima quantificazione a livello nazionale in termini di aspettativa di vita, sulla base dei dati forniti dal censimento Istat del 2001, è il frutto di una ricerca realizzata da Carlo Maccheroni, fellow del Centro «Carlo Dondena» di ricerca sulle dinamiche sociali della Bocconi e docente di demografia all’Università di Torino. Il titolo di studio è utilizzato da Maccheroni per individuare la classe sociale di appartenenza: «Sui grandi numeri, classe e livello d’istruzione si sovrappongono», spiega l’autore. «Questo è un punto universalmente accettato: il titolo di studio ha maggior validità di altri elementi, come ad esempio l’occupazione». L’Istat mette da anni in relazione livello di istruzione, e quindi classe sociale, con il livello di mortalità della popolazione italiana. Tuttavia, «questo è il primo studio quantitativo che ci dice quanti anni di vita dovremmo attenderci, in media, a seconda del nostro grado di istruzione». La disuguaglianza in apparenza più vistosa è nell’aspettativa di vita a 35 anni: un maschio poco colto ha davanti a sè in media 41,8 anni, -7,6 anni rispetto a un suo coetaneo più istruito (il 15,5% in meno). Ma è a 65 anni che tale differenza è più significativa: «Se infatti diminuisce in termini assoluti (-5,5 anni), aumenta in termini relativi fino a oltre il 25%: per questa classe di età, infatti, le aspettative di vita risultano rispettivamente di 16,1 e 21,6 anni a seconda del livello sociale. Cinque anni e mezzo significano un quarto di vita attesa in meno». Per le donne, invece, la differenza assoluta scende di poco più di un anno a seconda delle classi di età (da 6,5 a 5,3 anni tra le 35enni e le 65enni), mentre la differenza relativa sale dal -12% al -20,7%. «Le differenze di mortalità sottintendono differenze di salute e di condizioni di vita», aggiunge Carlo Maccheroni, «ma questi risultati fanno cogliere uno dei molteplici aspetti del valore dell’istruzione. Le disuguaglianze non sono infatti riconducibili solo a un differente bagaglio di conoscenze acquisite durante il percorso scolastico, ma si manifesta anche nella attitudine ad ampliare le proprie conoscenze in altri campi». |
UNIVERSITA’ : NUMERO CHIUSO, VERSO LA GRADUATORIA UNICAultima modifica: 2008-09-08T16:44:29+02:00da
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