Chiesti 2,6 milioni di danni dall’uomo che perse moglie e figlio. Il documento letto in aula: «Olindo e Rosa continuano a ridere nonostante ci siano persone che soffrono»
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Olindo Romano e Rosa Bazzi |
COMO – Dopo oltre sei ore di requisitoria del pm Massimo Astori nella scorsa udienza (con la richiesta dell’ergastolo), è ripartito a Como il processo per la strage di Erba, nella quale furono uccisi Raffaella Castagna, suo figlio Youssef di 2 anni, la nonna del piccolo Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini (mentre il marito di quest’ultima, Angelo Frigerio, rimase ferito). La giornata, tutta dedicata alle parti civili, dovrebbe essere caratterizzata anche dalla dichiarazione spontanea di Olindo Romano, imputato assieme alla moglie Rosa Bazzi. La giornata è iniziata con l’intervento di Roberto Tropenscovino, legale di Azouz Marzouk, padre, marito e genero di tre delle vittime.
LETTERA – Proprio Azouz ha affidato una lettera al suo legale, che l’ha letta in aula: «Sì, è vero, sto facendo lo sciopero della fame non tanto per l’espulsione ma quanto perché in Italia è un modo per attirare attenzione». Un documento che si conclude con l’auspicio che «la Corte d’assise mi ascolti: si devono condannare questi assassini, così non escono più. Si devono condannare Olindo e Rosa per il loro continuare a ridere nonostante in questa aula vi siano ancora persone che soffrono. Si devono condannare, ma non alla pena di morte come chiedevo nei primi tempi ma a un ergastolo senza Dio». Nel documento il tunisino che nella strage di Erba ha perso moglie, figlioletto e suocera, ammette di aver sbagliato e «ho pagato un conto duro alla giustizia. Voglio ricordare che questo non è il mio processo ma quello agli assassini che hanno sterminato la mia famiglia e altre persone. Vorrei essere trattato come vittima in questo processo. In Italia sono venuto per vivere e lavorare. Mi sono sposato, ho perso tutto: mia moglie il mio angelo Youssuf. Spero di avere altre occasioni nella mia vita».
DANNI – Poi l’avvocato Tropenscovino ha chiesto come parte civile, oltre 2,6 milioni di euro di risarcimento per i danni sia morali sia patrimoniali subiti dal suo assistito. Il legale ha inoltre aggiunto «che non c’è pena adeguata, neanche l’ergastolo, per tanto male e così tanto dolore». «Si deve avere l’intelligenza di dire – ha continuato l’avvocato – che anche un uomo che ha violato la legge ha il diritto al dolore quando subisce un reato così grave. Si deve avere l’umanità di riconoscere che il suo dolore non è diverso da quello di ogni padre e di ogni marito che ha perso il proprio figlio e la propria moglie. Il suo dolore prescinde dalla razza, dalla religione, dal credo politico, dal colore della pelle. Chi non ha questa intelligenza, questa umanità e il coraggio di riconoscerlo è moralmente uguale» a chi ha ucciso nella strage di Erba. Nel descrivere il dolore del suo assistito, Tropenscovino ha ricordato alla Corte il fatto che immediatamente dopo la strage Marzouk era stato «additato di questo crimine come il naturale capro espiatorio». Una situazione che gli ha procurato «un supplemento di dolore». Il legale ha infine negato che questo possa essere definito un «processo indiziario» e ha di nuovo lodato «lo scrupolo professionale e la cura» della Procura di Como, e in particolare del Pm Massimo Pastori, «magistrato che ha anche perseguito severamente il mio assistito». Un riferimento alla condanna a 13 anni di reclusione per traffico di droga e alla relativa espulsione dall’Italia patteggiata dal tunisino.
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