Il procuratore: «Il nostro è un atto dovuto». Confessione choc di una dottoressa del Ca’ Foncello. «Paziente senza speranze. Ho agito col consenso dei genitori»
TREVISO – Un neonato con gravissime malformazioni è sottoposto ad operazione e, a distanza di cinque giorni, non ha alcuna speranza di ripresa: la dottoressa che lo ha in cura, col consenso dei genitori, interrompe le terapie e il bimbo muore. È accaduto a Treviso, all’ospedale Cà Foncello, ed a rendere noto l’episodio è stata la stessa dottoressa durante un convegno, come riporta ilCorriere del Veneto. Ora, in merito alle dichiarazioni della dottoressa, la Procura presso il Tribunale di Treviso aprirà un fascicolo. Antonio Fojadelli, Procuratore capo di Treviso, precisa che l’apertura del fascicolo è un «atto dovuto» necessario per «rendersi conto – ha detto – di come stanno le cose». «La vicenda – ha aggiunto – va presa in considerazione per gli aspetti giuridici che la riguardano, poiché la magistratura non si occupa di etica». «È ovvio – ha concluso – che in questa fase il nostro lavoro è solo di verifica dei fatti».
I NEONATOLOGI: «GIUSTO LO STOP A TERAPIE» – A sostegno dalla scelta fatta dalla dottoressa del Cà Foncello levata di scudi tra gli esperti del settore: in questi casi non si tratta di staccare la spina, affermano gli specialisti, bensì di evitare, «doverosamente», situazioni di accanimento terapeutico. Il piccolo nato a Treviso, infatti, affermano i neonatologi, non aveva speranza di riprendersi e qualunque trattamento medico o farmacologico somministratogli sarebbe stato inutile e ne avrebbe solo prolungato l’agonia: in simili situazioni, rilevano, le stesse linee guida del settore prevedono la sospensione dei trattamenti ribadendo il «no» all’accanimento terapeutico. Chiaro, in merito, il giudizio del presidente della Società italiana di neonatologia, Claudio Fabris: «Se i trattamenti sanitari e farmacologici somministrati al neonato non portano alcun beneficio, né attuale né in prospettiva, procurandogli anzi solo delle sofferenze ulteriori, allora si configura appunto una situazione di accanimento terapeutico. In tal caso è giustificata la sospensione di terapie che risultano inutili ai fini di una ripresa vitale, prolungando solo l’agonia».