Duch adesso è un uomo di 67 anni, convertito al cristianesimo dal buddismo, disposto a chiedere perdono solo alla sua stirpe, rinchiuso nel carcere militare di Phnom Penh insieme a Khieu Samphan, Ieng Sary, Nuon Chea, rispettivamente numero 2, 3 e 4 del regime, in attesa di un improbabile inizio del processo istruito da una corte internazionale delle Nazioni unite per crimini contro l’umanità e genocidio. Il 15 giugno del 2007, poche ore prima che fosse prelevato dalle forze dell’Onu, una troupe italiana è riuscita avventurosamente ad intervistare Duch nel carcere militare di Phnom Penh, sotto gli occhi dei generali cambogiani. E’ una delle rare interviste che Duch, latitante per vent’anni, abbia mai rilasciato, grazie alla tenacia e ai contatti del giornalista Valerio Pellizzari, ora alla Stampa e primo al mondo ad averlo intervistato, che ha creato l’opportunità dell’incontro al giornalista e regista Mario Zanot.
L’ANSA anticipa il contenuto di questa intervista diventata un documentario intitolato “Il macellaio di Phnom Penh”, che cerca di entrare nella mente contorta di questo Eichmann cambogiano. “Il problema è che non avevo scelta. Mi è stato ordinato di farlo. Non potevo rifiutarmi”, dice Duch dei suoi delitti. Sembra di risentire le stesse frasi pronunciate da altri criminali nel corso del processo di Norimberga contro in nazisti. Duch fu a capo del primo campo di concentramento dei Khmer rossi M-13, trasformò un liceo scientifico di Phnom Penh in un luogo di tortura dove interrogò e fece morire 17 mila persone. Nel carcere di massima sicurezza S-21 da lui gestito, sulla collina dei Frutti velenosi, il motto era “Meglio distruggere dieci innocenti che lasciare un nemico vivo”. ‘Chi arrivava non doveva uscire vivo – spiega Duch – , questa era la regola. S-21 doveva interrogarli e distruggerli. Non poteva liberare nessuno”. E continua: ” Certo sentivo dispiacere per loro e mi chiedevo: dov’é la verità? Nun Chea (vice comandante dei Khmer rossi arrestato nel settembre 2007, ndr) mi diceva che dovevo riflettere su ciò che era giusto per la classe operaia. Ecco come risolvevano il mio problema di coscienza. Ma dentro di me non era chiaro, ma dire se ho peccato o meno… Che fai se ti mettono in un posto dove devi eseguire ordini? Cosa devo pensare di questo? Non lo so”.
Il solito alibi: era solo un lavoro. E così su 60 mila monaci buddisti ne sopravvissero solo mille, su 450 medici solo otto. L’intervento del Vietnam pose fine il 7 gennaio 1979 al regime brutale e fanatico di Pol Pot, uno dei più violenti del XX° secolo, iniziato nel 1975, l’Anno zero.
Duch, prima di fuggire, fece uccidere gli ultimi prigionieri dell’S-21 e per 20 anni fece perdere le sue tracce. Fino a quando nel 1999 un fotografo irlandese lo rintracciò. Per Duch, diventato fervente cristiano, fu un segno della provvidenza divina e adesso, dalle mura del carcere di Phnom Penh dice: “E’ importante capire che ho scoperto che dove i comunisti hanno perso i cristiani hanno vinto. Così ho abbandonato il comunismo”. Finora solo quattro dei leader Khmer rossi sono in attesa di processo. Altri hanno beneficiato di un’amnistia. Duch, furbescamente, ha fatto solo i nomi dei leader dei Khmer rossi già morti, ma non quello degli altri suoi capi. E gli osservatori internazionali sono scettici sulla possibilità che il processo arrivi a una conclusione.