Le guardie carcerarie portavano messaggi in carcere, ad esponenti del clan sottoposti al regime del 41 bis
CASERTA – È in corso dalle prime ore della mattina una vasta operazione anticrimine della Polizia di Modena a carico di componenti del clan dei Casalesi. I provvedimenti di fermo emessi dalla Dda di Bologna sono cinque; due riguardano agenti della Polizia Penitenziaria in servizio presso il carcere di Modena. Le accuse sono di vario tipo tutte aggravate dalla partecipazione ad associazione di stampo camorristico. L’operazione arriva a conclusione di un’ indagine, avviata nel dicembre 2007, ed è lo stralcio di una più vasta indagine avviata dalla procura antimafia di Napoli, che ha consentito di riscontrare l’infiltrazione di esponenti del clan in provincia di Modena, oltre che nelle tradizionali attività estorsive, anche nell’apparato amministrativo ed in attività economiche di trasformazione, come la gestione di circoli privati. Secondo quanto è emerso, alcuni esponenti dei Casalesi, detenuti nella Casa Circondariale di Modena in regime di «alta sicurezza», con la compiacenza di due operatori della polizia penitenziaria di Modena, impartivano ordini e direttive, sia per mantenere contatti con l’esterno (con la provincia di Modena e con altri centri dell’Agro Aversano). Attraverso i due agenti i camorristi ricevevano visite anche di persone che non avevan o legami di parentela con loro. Numerosi i sequestri e le perquisizioni nell’ambito dell’operazione denominata «Medusa». Le due guardie carceraria in cambio dei favori avrebbero avuto la gestione di due club (in realtà la polizia sospetta siano state delle bische clandestine) realizzate con il denaro del clan dei casalesi. Tra le altre attività in cui sono coinvolti i casalesi quella dell’edilizia: le ditte legate ai clan si sono mimetizzate tra le imprese legali. Sono circa seicento le imprese edili con sede nell’agro Aversano che operano nel modenese e in altri centri dell’Emilia e della Romagna.
Minacce di rappresaglie nei confronti del magistrato di sorveglianza di Modena che non aveva concesso permessi premio richiesti da affiliati al clan dei Casalesi. È uno degli aspetti dell’operazione della Polizia di Modena e della Dda di Bologna contro i casalesi. «Non ne vuole sapere proprio dei casalesi… eppure lo dobbiamo buttare con la testa sotto, quello lo deve capire… deve passare quel guaio, deve passare quello…», sono le frasi intercettate in cui gli affiliati parlavano del magistrato. Sulla base delle minacce rivolte, il comitato provinciale per la sicurezza di Modena dal mese di ottobre 2008 ha disposto un servizio di vigilanza, che è ancora attivo. Intanto si è appreso che i due agenti della polizia penitenziaria arrestati (originari di Carinola e Caivano), facevano da tramite tra gli appartenenti al clan in carcere e gli altri affiliati e avrebbero mantenuto tutti i contatti con l’esterno per le necessità dei detenuti. I due avrebbero permesso l’accesso all’interno della struttura penitenziaria di persone mai autorizzate e che poi avevano colloqui proprio con i detenuti affiliati ai Casalesi: così – secondo le indagini – dettavano regole all’esterno. In alcune occasioni, i due operatori avrebbero poi informato i soggetti del clan detenuti a Modena della possibilità di essere intercettati. I favori resi in carcere da uno dei due agenti della Penitenziaria – secondo l’inchiesta – erano stati pagati anche con la partecipazione alle quote di uno dei due circoli privati del Modenese (uno a Castelfranco Emilia ed uno a Carpi) che facevano capo ai casalesi. L’operazione, che ha portato anche a cinque denunce e al sequestro di due club adibiti a sale da gioco, è il risultato di circa un anno di indagini svolte congiuntamente dal Nucleo investigativo centrale della Polizia penitenziaria di Roma e dalla Mobile di Modena, con la collaborazione del personale di Polizia penitenziaria della casa circondariale di Modena.