Associated Press e WSJ contro Google e gli aggregatori di notizie. Offensiva dei colossi dell’informazione contro chi si limita a riprendere le notizie senza valorizzare chi le produce
Il copione è già visto, ma con la crisi dell’editoria, ora si ripropone con toni più drammatici e perentori: le agenzie e i quotidiani tradizionali (che investono molte risorse per la produzione di notizie originali) intendono mettere ordine nell’attuale anarchia, iniziando a punire i tanti «parassiti» (gli aggregatori e i motori di ricerca) che riprendono e distribuiscono le notizie senza offrire nulla in cambio.
AP CONTRO GLI AGGREGATORI – «Non possiamo più permetterci di stare fermi a guardare chi ci sta togliendo il lavoro senza fare nulla» ha spiegato ieri Dean Singleton, presidente di AP, una delle più grandi agenzie globali, finanziata dal New York Times e migliaia di altri quotidiani statunitensi. Singleton ha annunciato la messa a punto di strumenti più efficaci: un software che permetterà di tracciare chi utilizza illegalmente i contenuti e un motore di ricerca in grado di premiare le fonti che producono news originali. In tutto ciò si annunciano battaglie legali anche nei confronti di chi pubblica brevi estratti delle notizie e poi rimanda alla fonte originale con un link (come fa Google News). A cominciare dai tanti aggregatori che vanno alla grande negli Stati Uniti, come l’Huffington Post, The Daily Beast e Drudge Report: testate che ormai, per numero di visitatori, rivaleggiano con i grandi dell’informazione, pur limitandosi soltanto a segnalare notizie interessanti pescate qua e là in rete. Ma in questa battaglia, c’è anche un altro imputato eccellente: Google e la corazzata di aggregatori automatici, che generano guadagni pubblicitari sulle notizie senza disporre nemmeno di una redazione.
THE GUARDIAN E IL WSJ CONTRO GOOGLE – Proprio il colosso di Mountain View nei giorni scorsi è finito sotto il tiro incrociato di due colossi dell’editoria. Prima è stata la testata inglese The Guardian che, per mezzo dell’analista Henry Porter, ha definito Google una «minaccia immorale», dal momento che sta costruendo un monopolio globale senza «offrire alcuna alternativa a chi crea i contenuti». Poi è arrivato il pesante affondo del manager del Wall Street Journal Robert Thomson che in una recente intervista ha parlato di Google come un «parassita, un verme solitario nell’intestino di Internet». Il motivo? «Non è sufficiente la teoria del traffico indirizzato verso i siti originali, quando la logica alla base di Google è all’insegna della promiscuità di fonti. La maggior parte degli utenti non sempre associa un contenuto con il suo creatore». Di recente lo stesso Rupert Murdoch, il magnate dell’editoria che con News Corp. controlla il WSJ, aveva messo in guardia: «Presto cambierà il modello secondo cui le notizie online sono gratuite». Rispetto alle tante minacce del passato c’è ora una novità: i colossi dell’informazione stanno dando vita ad un fronte comune. Ma non è detto che basti per vincere la battaglia contro «Google e i suoi fratelli» che nel frattempo hanno abituato gli utenti a leggere le notizie online gratuitamente e da più fonti.
Nicola Bruno