A giugno in Italia: «Show di tre ore. Tutti i nostri classici e qualche nuovo brano». Don Henley: se fossimo stati più saggi avremmo realizzato più dischi
la band (Ansa/Epa) |
MILANO — «Hotel California? È un viaggio dall’innocenza all’esperienza, verso la maturità ». Parola di Donald Hugh Henley (classe 1947), più noto come Don Henley. Una leggenda del rock americano. È il fondatore, batterista, voce e coautore di numerosi brani degli Eagles, probabilmente il gruppo musicale country-rock di maggior successo nella storia della musica. Il loro disco Their Greatest Hits (1971-1975) ha venduto solo negli Stati Uniti 29 milioni di copie. La band, che dalla sua nascita nel 1971 ha avuto diversi rimpasti, sarà in Italia il 13 giugno (Milano, Forum). Il loro ultimo album, dopo anni di silenzio, si intitola Long Road Out of Eden. E Don Henley confessa che realizzarlo non è stata una passeggiata: «Difficile conservare il nostro suono e allo stesso tempo cercarne uno nuovo. Anche utilizzando strumenti esotici provenienti dall’India e dall’Afghanistan».
Lo show che approda in Italia, più che un concerto è una maratona. «Dura tre ore. Tutti i nostri classici, più alcune delle nuove canzoni, che ci aiutano a mantenerci ancora freschi. Abbiamo speso un sacco di soldi nella produzione. Tutto nuovo: dal palco, alle luci, agli schermi giganti».
Per i classici della band qualche ritocco. «Alcuni suoneranno esattamente come gli originali, altri avranno qualche nuovo arrangiamento. Dopo il concerto italiano faremo una pausa e io porterò in vacanza la mia famiglia e i miei bambini sul lago di Como. Sicuramente non ospite della gente famosa che ha casa da quelle parti: di solito non frequento quel giro. Voglio andare a Como perché mia nonna aveva origini italiane e i suoi antenati emigrarono da Genova in America e si stabilirono in una cittadina del Texas chiamata Como. Diciamo che mio padre è nato a Como, però è una Como nel Texas. Ecco perché voglio vedere il lago di Como, quello vero».
Desperado e Tequila sunrise sono altre due canzoni che squarciano il cuore e richiamano i fans ai concerti degli Eagles. «Per DesperadoTequila Sunrise è invece una creatura di Glenn, nata sotto la moda dell’omonimo cocktail: si beveva della tequila pura e poi si buttava giù della birra». Ma quanto c’è ancora di country nella musica degli Eagles? «Parecchio. Ma nel country di oggi non c’è più l’anima vera della campagna. Noi Eagles comunque le nostre radici le abbiamo nel rock’n’roll». Tensioni all’interno della band? «Certamente, come in qualsiasi gruppo. Ad ogni conclusione di tour ne abbiamo abbastanza l’uno dell’altro e annunciamo che sarà l’ultimo». Una delle defezioni più traumatiche fu quella di Don Felder. «In verità ne siamo stati contenti, perché sono subito diminuiti i problemi fra di noi. L’arrivo del nuovo chitarrista, Stewart Smith, è stato come una scintilla di vitalità». La ricetta degli Eagles resta un mistero. «C’è una vecchia battuta che dice: per comporre una canzone serve il 10% di ispirazione e il 90% di traspirazione. Abbiamo avuto la fortuna di trovarci in un ambiente nel quale operavano gente come Jackson Browne e Randy Newman e abbiamo potuto osservare come operavano». — spiega Don Henley — sono stato influenzato da un compositore del 19˚secolo, Stephen Foster, che descrisse il Sud nelle sue canzoni, e da Ray Charles.