IL PERSONAGGIO. Gradito nei sondaggi, va spesso allo scontro. Gli amici e nemici «trasversali»
Il ministro Renato Brunetta |
ROMA – Il ministro Renato Brunetta, come si sa, mercoledì è stato deciso, dirompente, definitivo. Ha detto: «O il mio decreto anti-fannulloni viene trasmesso alle Camere entro quarantotto ore, oppure mi dimetto ». È già passato un giorno. Non faticherete perciò a immaginare il piglio con cui, stamani, farà ingresso nel Consiglio dei ministri in programma a Palazzo Chigi. L’uomo, ormai personaggio — al punto d’essere chiamato (affettuosamente?) dagli stessi colleghi del Pdl la «Lorella Cuccarini» del governo, per dire che è il più amato dagli italiani — ha 59 anni, è veneziano, è figlio minore di un venditore ambulante di gondolette in plastica e dietro questa sua partenza di vita faticosa ha però costruito una professione universitaria e politica di gran successo, e una credibilità e una faccia, un ghigno che, a volte, aprono conflitti sparsi.
Negli ultimi giorni, incroci dialettici a dir poco ruvidi con il suo collega Giulio Tremonti (che gli contesta la possibilità di ricorsi collettivi contro la pubblica amministrazione). Ma screzi anche con la responsabile delle Pari Opportunità, Mara Carfagna (che lo accusa di aver previsto un sistema meritocratico di premi a svantaggio delle donne madri). E poi critiche, dure, ricevute da una sindacalista non ostile al governo, Renata Polverini, segretario dell’Ugl. Però tra i sindacalisti poi c’è chi lo conosce bene, come il segretario nazionale della Cisl, Raffaele Bonanni. «Vede, il Brunetta è un uomo istrionico e innamorato di se stesso… e però è anche persona di assoluta intelligenza, di formazione socialista… ». E perciò? «Credo che lui, per primo, conosca il valore della concertazione… ». La sua, segretario, è quasi una richiesta. «Un invito al buon senso, alla responsabilità… la riforma della pubblica amministrazione riguarda 3 milioni e mezzo di persone, e coinvolge Regioni, e Comuni, e ospedali… quello di forzare la mano e minacciare le dimissioni è un colpo di teatro, e io lo capisco. Ora, però, il mio amico Brunetta… ». Suo amico? «Mio amico… e appunto all’amico chiedo di ragionare e far tesoro, ad esempio, della disponibilità al dialogo del mio sindacato ». I toni, questi, sono concilianti. E poi comunque Bonanni racconta pezzi di verità: la formazione di Brunetta è puramente socialista (a 25 anni era già coordinatore della commissione sul lavoro voluta dall’allora ministro Gianni De Michelis; nel 1993, durante Mani Pulite, firma la proposta di rinnovamento del Psi di Gino Giugni). Insomma: potenzialmente, davvero un riformista. «E infatti, lo confesso, sulle prime gli detti molta fiducia»: la voce di Carlo Podda, segretario generale Funzione pubblica della Cgil, è bassa. Ma no? «Non ricorda? In una trasmissione televisiva, Brunetta arrivò addirittura a ringraziarmi». E poi? «Poi lui è cambiato».
Cerchi di essere più preciso. «Allora: io non nego la necessità di mettere mano ai meccanismi lenti della pubblica amministrazione. Ma un conto è affrontare i problemi parlando alle viscere degli italiani…». Cioè? «Dire: quello sbaglia? E io lo punisco. Quell’altro sbaglia ancora? E io lo caccio. Un conto, invece, sarebbe mettere mano in modo razionale, strutturale, ai problemi ». Brunetta sostiene di volerlo fare… «Brunetta sa essere mediatico… ». E qualche volta sa anche far perdere la misura. Lo scorso ottobre capitò a Massimo D’Alema — uno che con le parole, di solito, ci gioca. Disse: «Quel ministro è un energumeno tascabile ». Disse proprio così. Per poi comunque pentirsi, il giorno dopo. Biglietto di scuse. «Caro Renato… ».
Parole dolci, mentre però ormai sull’altezza di Brunetta ironizzava senza indugi Maurizio Crozza, su La7. Un’imitazione pazzesca. Con Brunetta-Crozza che, grazie ad una serie di effetti televisivi, si arrampicava su una poltrona rossa. Per poi precipitare giù, dopo l’ultimo monologo (monologo perfetto: con tutti i tic, le pause dialettiche, con tutto il repertorio retorico del vero ministro che incalza chi, nel pubblico impiego, non lavora, o lavora male). «Ha avuto il merito di mettere a fuoco un problema cruciale per il nostro Paese, e di affrontarlo di petto; e anche il merito di accogliere alcune proposte importanti del Pd — riflette il professor Piero Ichino, docente di Diritto del Lavoro all’università statale di Milano e senatore del Partito democratico —. In molti casi, però, ha preferito l’effetto-annuncio e il grande impatto mediatico rispetto al lavoro paziente e meditato di tessitura ». L’impatto mediatico, finora, gli ha comunque dato risultati enormi. Tra i ministri, nei sondaggi, risulta sempre tra i più graditi. «Io, infatti, non mi faccio intimidire da nessuno».
Fabrizio Roncone