Inchiesta sulla Snamprogetti del gruppo Eni. I pm: politici pagati per gli appalti. Perquisiti gli uffici della Saipem, indagati due manager per corruzione internazionale. In ballo una «dazione» multinazionale da 182 milioni di dollari
MILANO — A sera, la perquisizione iniziata in mattinata è ancora in corso negli uffici del gruppo Eni a San Donato, e la selezione di carte e di e-mail nell’Area commerciale e nell’Audit interno dell’ex Snamprogetti (oggi incorporata in Saipem) è il primo atto visibile della nuova inchiesta, per l’ipotesi di reato di corruzione internazionale, aperta dalla Procura di Milano sull’operato della società del «cane a sei zampe». In ballo c’è la quota italiana di tangenti multinazionali pagate sugli appalti del gas in Nigeria: la parte di pertinenza Snamprogetti dei 182 milioni di dollari che il consorzio internazionale Tskj (partecipato dall’americana Kbr, dalla giapponese Igc, dalla francese Technip e appunto dall’italiana Snamprogetti) pagò tra il 1994 e il 2004 a politici e burocrati della Nigeria in cambio degli appalti da 6 miliardi di euro per i sei colossali impianti di estrazione e stoccaggio del gas liquefatto del giacimento di Bonny Island, zona da anni al centro del conflitto tra le forze governative e i guerriglieri che si battono contro lo sfruttamento del delta del Niger.
Reo confesso
Nata in Francia, cresciuta in Gran Bretagna e lievitata negli Stati Uniti, l’inchiesta milanese si nutre delle ammissioni di Albert Jackson Stanley, il top manager che dall’indagine in Texas è uscito concordando 7 anni di pena dopo essere stato al timone della multinazionale americana Kbr, controllata dalla Halliburton che all’epoca aveva al vertice Dick Cheney, poi assurto alla vicepresidenza Usa nell’era Bush.
«31 Luglio 2004»
Ma le diversità degli ordinamenti giudiziari fanno sì che l’indagine milanese abbia ora tempo proceduralmente ancora utile per scandagliare soltanto l’ultima fase dell’affare: e cioè la sottoquota di tangenti pagate dal quadriconsorzio multinazionale in relazione al contratto del 31 luglio 2004 per il sesto impianto (denominato «treno 6»).
Prescrizione
Due le persone indagate, manager della ex Snamprogetti (attuale Saipem), ma solo per il periodo 2002- 2004. La data estiva della perquisizione — affidata quasi in extremis dai pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro alla Guardia di Finanza, alla Polizia e agli esperti informatici della sezione della Procura— segnala invece che l’acquisizione di documenti operata dai magistrati serve anche a valutare se iscrivere nel registro degli indagati la persona giuridica della società del gruppo Eni: evento infatti ancora possibile soltanto per 13 giorni, prima che si consumi interamente il termine di 5 anni oltre il quale si prescrive la responsabilità amministrativa delle società per reati commessi dai dipendenti nell’interesse aziendale (legge 231 del 2001). I manager indagati dell’allora Snamprogetti sarebbero stati quelli più vicini al comitato direttivo del consorzio Tskj, la sede decisionale dove secondo Stanley si concordava di usare il paravento di «contratti di consulenza» come «canali di corruzione» dei vertici nigeriani attraverso una doppia intermediazione dei soldi: prima dal consorzio a un trio di società costituite dal consorzio di imprese nel paradiso fiscale portoghese di Madeira; e poi da esse ad altre due aziende che smistavano i pagamenti ai politici nigeriani su conti svizzeri e monegaschi, ovvero la Tri-star di un avvocato d’affari inglese a Gibilterra (Jeffrey Tesler, arrestato in Gran Bretagna) e una azienda giapponese di pubbliche relazioni. Nel febbraio scorso, la Kbr-Halliburton ha concordato con il Dipartimento di Giustizia di Houston (Texas) una multa di 579 milioni di dollari da pagare allo Stato e alla Sec (l’equivalente americano della Consob), ammettendo che il suo ex amministratore delegato Albert «Jack» Stanley aveva pagato tangenti in Nigeria. Stanley ha pure ammesso, e accettato 7 anni. Cabina di regia Che le tangenti siano state pagate, dunque, appare fuori discussione. Quel che però la ex Snamprogetti del gruppo Eni nega è di aver mai saputo, e tantomeno condiviso, che il consorzio internazionale al quale partecipava le avesse pagate. Sul punto, però, Stanley negli Stati Uniti ha affermato che la cabina di regia («steering committee») del comitato direttivo del consorzio Tskj «prendeva le più importanti decisioni per conto della joint venture, inclusa la scelta se ingaggiare consulenti che assistessero il consorzio per ottenere i contratti, chi pagare come consulenti, e quanto pagarli. Profitti, introiti e spese, incluso il costo degli agenti, furono divisi equamente tra i quattro partners» del consorzio Tskj. Generali d’oro Ma a chi andò questo fiume di soldi? Dalle carte di inchiesta emerge il ministro nigeriano del Petrolio dal 1995 al 1998, Dan Etete, condannato a marzo dalla Corte d’Appello di Parigi a una multa di 8 milioni di euro per aver incassato 15 milioni di dollari in tangenti che aveva utilizzato per acquistare alcuni immobili in Francia, compreso un castello. Ma molto di più, secondo quanto si legge nelle carte dell’indagine americana, sarebbe stato pagato al generale Sani Abacha, morto nel 1998 dopo aver governato con il pugno di ferro la Nigeria dal 1993: a lui sarebbero andati, tramite l’avvocato di Gibilterra, dai 40 ai 45 milioni di dollari. Il presidente nigeriano fino al 2007, Olusegun Obasanjo, avrebbe inoltre ricevuto nel 2002 circa 23 milioni; mentre il generale Abdulsalami Abubakar, presidente per un solo anno, di milioni ne avrebbe comunque incassati 2,2 sul suo conto svizzero.
«Collaborazione»
Fonti difensive del gruppo Eni non hanno commentato ieri i presupposti della perquisizione, mentre fonti dell’azienda ribadiscono la doppia posizione che il «cane a sei zampe » aveva rappresentato due anni fa quando negli Stati Uniti era stato chiamato indirettamente in causa dall’esito dell’inchiesta americana sulle tangenti. Primo: società dell’Eni non hanno mai pagato tangenti per gli appalti in Nigeria. Secondo: «fin dal giugno 2004» il gruppo Eni ha offerto agli inquirenti americani e alla Sec «collaborazione volontaria», anche «con la consegna di documenti interni» sull’appalto.
Luigi Ferrarella
Giuseppe Guastella
ENI, “codice etico” e Servizi Segreti
Notizia tratta dal portale Indymedia al link:
http://piemonte.indymedia.org/article/5520
In una surreale seduta Straordinaria del Consiglio di Amministrazione dell’ ENI (che trovate trascritta ed in originale) evocato il nome d’un fantomatico giornalista (Altana Pietro) e dei nostri Servizi Segreti Italiani
Stà scritto lì, nero su bianco, nel verbale del C.d.A. dell’E.N.I.:
“… l’11 giugno 2004 Abb denuncia alcuni manager dalla sua filiale milanese di occultamento di perdite di 70 milioni di euro e rassegna al PM Francesco Greco due nomi di propri dipendenti, tali Carlo Parmeggiani e Piarantonio Prior, che sarebbero coinvolti anche anche in una tangente al manager di Enipower Larenzino Marzocchi.Mi chiedo per quanti anni ancora sarebbe andata avanti tale forma e genere di crimine se non ci fosse stata nel marzo 2004 l’indagine del professionista della stampa Altana Pietro (fonte ritenuta vicina ai Servizi Segreti) che ha fatto indagini su Enichem, Enipower, ABB; se non ci fosse stata la denuncia al Magistrato da parte di Abb, mi chiedo come possa essere motivato una tale procrastinazione di delittuoso comportamento, per altro verso una pluralità di commissionari, senza che, in più anni e sistemi di controllo aziendali interni siano riusciti ad intercettare alcunché…”.
Nigerian Gate: l’ENI pagherà cash 254 milioni di $ al Department of Justice USA
Articolo/scoop tratto dal portale Indymedia al link:
http://piemonte.indymedia.org/article/7884
Negli Stati Uniti, dove la corruzione – specialmente quella finanziaria – si combatte per davvero e non a parole (come in Italia) per l’ENI è in arrivo una mazzata da paura. Per le tangenti in Nigeria pagate dal Consorzio TSKJ, l’ENI ha tempo fino a fine marzo 2010 per definire un’eventuale transazione, poi scattano i procedimenti giudiziari in USA e le sanzioni (pesanti). E poi ci sono anche le indagini in Italia. Ma quelle non impensieriscono nessuno.
Si decidevano le mazzette da versare ai politici nigeriani ed i destinatari nel corso di “incontri culturali”, all’ombra del Big Ben o sorseggiando un thè in quel di Backer Street a Londra. La “gang” dell’LNG (gas naturale liquefatto) meglio conosciuta come Consorzio TSKJ è purtroppo n’altra sciagurata joint venture – sarebbe meglio dire associazione per delinquere di stampo transnazionale – composta dall’italiana ENI/Snamprogetti/Saipem, l’americana KBR/Halliburton, la giapponese IGC e la francese TECHNIP.
Per non dilungarci oltre puoi leggere quì per un approfondimento:
“Tangenti in NIGERIA: eccome come l’ENI pagava!”
http://piemonte.indymedia.org/article/5988
Il Dipartimento di Giustizia USA avrebbe deciso di andare a fondo nella Nigerian Connection e punire esemplarmente tutti i corruttori del cartello. Ecco perché adesso l’ENI ha una fretta fottuta di chiudere i procedimenti americani prima che questi possano sortire effetti disastrosi. Lo scandalo come sapete ha coinvolto Snamprogetti Netherland BV (controllata direttamente dall’ENI) e ha tirato in ballo inevitabilmente l’ENI stessa, in quanto società quotata al NYSE e per “culpa in vigilando” rispetto alla sua controllata. Come ha osservato astutamente l’Avv. Massimo Mantovani – responsabile Ufficio Legale dell’ENI – in un Memorandum riservato circolarizzato ai vertici della società energetica in una recente del cda (che trovate di seguito riprodotto e trascritto) l’Eni è giustamente preoccupata anche per le “… le conseguenze mediatiche e reputazionali”. Il memorandum confidential di cui trattasi titola “Nota di Aggiornamento Indagini Vicenda TSKJ – Riservato”. Quando Paolo Scaroni (CEO dell’ENI) l’ha letto tutto d’un fiato e ha sudato freddo. S’è gelato il sangue nelle vEni. Detto in soldEni quì la cosa è grossa. Si tratta di scucire 240 milioni di dollari entro fine marzo 2010 al Department of Justice americano. Pena l’avvio dei procedimenti giudiziari ed il conseguente sputtanamento planetario (KBR ha già transatto con il DoJ per 600 milioni di $ cash e Technip/IDP idem con patate).
No problem ha esordito Scaroni “…si può ragionevolmente ritenere di poter accelerare le trattative col DoJ e con la SEC … con l’obiettivo di identificare entro il mese di marzo una possibile intesa…” (che problema c’è tanto Scaroni scucirà 240 milioni di $ di soldi pubblici mica di tasca sua … che gliè fotte).
I legali americani che hanno per le mani la patata bollente dell’ENI, i lawyer Sullivan & Cromwell, son stati perentori. O l’ENI paga cash – e senza tante discussioni – 254 milioni di $ al Dipartimento di Giustizia USA, o per l’ENI son cazzi amari. In tutti i sensi. Negli Stati Uniti la giustizia funziona ancora discretamente e i reati di corruzione son fortemente perseguiti (ne sa qualcosa Bernie Madoff) non come in Italia dove l’ENI ha sempre potuto contare su una sostanziale impunità e l’ha sempre fatta franca (facciamo la conta delle tangenti e/o scandali ENI degli ultimi 20 anni?). In caso di avvio di procedimenti giudiziari americani, lasciando per un attimo in disparte “gli effetti negativi mediatici e reputazionali” per l’ENI sarebbe davvero la fine. La fine dell’acquisizione di altri contratti intanto. E poi il Department of Justice estenderebbe di sicuro l’azione giudiziaria ad altre società del Gruppo ENI a vario titolo coinvolte (allargando il contenzioso), con l’imposizione di severi meccanismi di monitoraggio dell’attività della capogruppo ENI da parte di organi esterni indipendenti (gli impatti operativi per l’ENI sarebbero devastanti). A cascata, le azioni giudiziarie contro l’ENI avrebbero inevitabilmente effetti negativi anche sul procedimento italiano. Non ultimo, le sanzioni economiche e pecuniarie (a cui comunque l’ENI sarebbe tenuta e obbligata) lieviterebbero a dismisura. Altro che 254 milioni di $.
In previsione, preparatevi al ritocchino sulle bollette del gas.
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“Memorandum” ENI al link:
http://piemonte.indymedia.org/attachments/mar2010/eni_informativa_riservatatskj_marzo_2010.pdf