Il 25 settembre del 2007 l’inizezione letale a Michael Wayne Richard. Sharon Keller, detta “Killer” rifiutò l’ultimo appello di un condannato rispettando alla lettera l’orario d’ufficio
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Il giudice Sharon Keller |
«Non c’è tempo. Chiudiamo alle cinque». Il giudice texano Sharon Keller (ora soprannominata «Sharon Killer» dai suoi detrattori) non ci pensò due volte. Era il settembre del 2007 quando rifiutò l’appello in extremis di un condannato a morte per far rispettare alla lettera l’orario di ufficio. Per questo è ora sotto processo in uno dei casi più gravi di «giustizia sbagliata» nella storia del suo Stato. La donna è accusata di cattiva condotta per aver deliberatamente ordinato la chiusura degli uffici pur sapendo che gli avvocati dell’imputato attendevano impazientemente di sottoporre i documenti per avviare il ricorso.
RISCHIA DI ESSERE RADIATA – Lunedì la Keller è comparsa davanti a una commissione statale incaricata di valutare la condotta dei giudici. Rischia di essere radiata dalla magistratura per non aver rispettato i diritti di un condannato a morte. Il caso risale al settembre del 2007. E riguarda Michael Wayne Richard, 49enne condannato per stupro e omicidio. I legali dell’uomo cercarono la mattina stessa del giorno in cui era stata fissata l’esecuzione, il 25 settembre del 2007, di fermare la condanna appellandosi alla procedura con cui è condotta l’iniezione letale. Quella stessa mattina infatti la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva deciso di valutare se quel metodo di esecuzione rappresentasse una forma di punizione inusuale e crudele e fosse pertanto incostituzionale. La Keller quel giorno aveva gli operai in casa e lasciò il lavoro prima della fine dell’orario prestabilito. Gli avvocati di Richard, approfittando della finestra aperta dalla Corte Suprema, si affrettarono a fare ricorso ma ebbero problemi al computer. Quando finalmente alle 16:45 riuscirono a far arrivare la pratica in tribunale chiedendo il rinvio dell’esecuzione, non ci fu nulla da fare. «Si chiude alle 17», si sentirono rispondere.
ESECUZIONE E PROTESTE – Alle 20:23 di quella stessa sera fu eseguita la condanna a morte di Richard. Di lì a poco lo stato del Texas dichiarò una moratoria delle esecuzioni: il 49enne fu l’ultimo condannato messo a morte prima dell’inizio della moratoria. La vicenda all’epoca suscitò proteste negli Usa e titoli sui giornali di mezzo mondo. Nonostante abbia sempre respinto le accuse la giudice è da allora al centro di violentissime critiche e le associazioni che si battono contro la pena di morte l’hanno soprannominata «Sharon Killer», storpiando il suo cognome. «Se avessi saputo che avevano chiesto più tempo lo avrei concesso – ha detto più volte la donna -. Si tratta di un’esecuzione». La donna è considerata uno dei giudici più inclini alla pena capitale ed è il più alto magistrato messo sotto accusa da 15 anni a questa parte. Il Texas registra ancora oggi il più affollato braccio della morte di tutti gli Stati Uniti.
IL CASO DAVIS – In parallelo al caso Keller, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha accordato un rinvio all’esecuzione di Troy Davis, detenuto afroamericano della Georgia, da 18 anni in carcere dopo essere stato condannato a morte per l’omicidio di un poliziotto. Davis, che si è sempre proclamato estraneo al delitto, aveva chiesto più tempo per raccogliere prove della sua innocenza. Il giudice della Corte Suprema Paul Stevens ha accolto la sua richiesta, stabilendo che un giudice federale «indaghi sulla possibilità che esistano prove non considerate ai tempi del processo in grado di dimostrare l’innocenza del prigioniero».