L’inchiesta. La ricostruzione e le prime testimonianze «Erano nascosti al lato della strada», «i feriti presto rimpatriati»
La polizia afghana sulla scena dell’attentato in cui sono rimasti coinvolti due mezzi militari italiani a Kabul: sei parà sono morti e quattro sono rimasti feriti (Reuters)
KABUL — Subito dopo l’esplosione contro gli italiani giovedì mattina sembra certo vi sia stata una sparatoria durata circa tre minuti. Ad aprire il fuoco sarebbe stato un gruppo di militanti filotalebani armati di mitragliatori e appostati tra alcune montagnole di terra e detriti un centinaio di metri sulla sinistra della carreggiata rispetto alla direzione di marcia dei Lince.
GLI AGGRESSORI – Quanti aggressori? «Forse quattro o cinque. Il numero non è chiaro. Hanno aperto il fuoco contro i quattro sopravvissuti del secondo blindato. Questi erano confusi, in stato di choc. Si deve pensare che, dato l’impatto violentissimo dello scoppio — è quasi certo fosse una vettura guidata da un kamikaze — alcuni di loro ancora non avevano realizzato che il primo Lince era stato colpito. Pensavano di essere stati loro gli obbiettivi principali dell’attentato. Però sono riusciti a reagire abbastanza in fretta. Anche aiutati dal fatto che intanto era sopraggiunta una pattuglia inglese, seguita subito dopo da una norvegese. Hanno così compreso da dove provenivano gli spari, si sono riparati dietro il loro mezzo danneggiato e hanno risposto al fuoco. A quel punto gli aggressori si sono dileguati» dicono al Corriere alte fonti Isaf-Nato coinvolte nelle fasi preliminari dell’inchiesta. In gergo un’operazione del genere viene definita: «Attentato complesso». Un fatto abbastanza raro a Kabul. Si deve tornare all’attentato contro l’hotel Serena, nel gennaio 2008, per tracciare uno scenario simile, seguito da diversi «attacchi complessi» contro le forze di sicurezza nazionali afghane.
DINAMICHE COMUNI – È invece assodato che dinamiche del genere siano abbastanza comuni nelle zone rurali e soprattutto nel Sud-est del Paese. Se ciò fosse confermato, significherebbe dunque che gli italiani erano davvero caduti in un’imboscata ben pianificata. Prima l’auto kamikaze, poi le mitragliate per finire i superstiti. Saranno ora anche i gruppi investigativi dei Ros a seguire queste piste. Gli stessi talebani nel loro comunicato di rivendicazione avevano segnalato gli spari da parte degli italiani. E molti dei testimoni tra i civili, incontrati ieri mattina sul luogo dell’attentato, parlano con insistenza di «una intensa sparatoria», che avrebbe addirittura impedito per alcuni minuti di prestare soccorso ai feriti tra la popolazione. Della decina di persone intervistate dal Corriere , nessuna ha parlato di colpi a fuoco da parte dei talebani.
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I militari italiani in Afghanistan (Ansa) |
KABUL– Ci vorranno, forse, ancora un paio di giorni prima che i quattro soldati feriti nell’attentato in Afghanistan possano tornare a casa. I dottori non hanno dato il via libera per il rimpatrio. «Le condizioni non sono gravi», spiegano i medici francesi dell’ospedale «Role 2». Ma preferiscono tenere i militari sotto osservazione finché «non avranno superato lo stato di choc accusato in seguito all’esplosione».
LE VITTIME– Torneranno invece a casa le salme dei sei militari caduti nell’attentato. Le salme arriveranno all’aeroporto Ciampino domenica mattina. Al Celio verrà aperta una camera ardente riservata ai famigliari delle vittime. Per il ministro della Difesa Ignazio La Russa sul rientro «non c’è stato alcun ritardo. Anzi, abbiamo accelerato i tempi. Ogni polemica è offensiva».
L. Cr.