Arrestati lunedì nelle loro abitazioni in via gola e viale umbria dopo mesi di indagini. Sono in isolamento a San Vittore. Il legale: «Paradosso, erano controllati da giugno e non hanno fatto nulla»
Manolo Morlacchi (Fotogramma) |
MILANO – Respingono le accuse e affermano di non aver mai fatto parte di alcuna organizzazione terroristica-eversiva Manolo Morlacchi, 39 anni, figlio di Pietro Morlacchi, e Costantino Virgilio, ritenuti componenti del gruppo «Per il comunismo Brigate Rosse» arrestati lunedì a Milano nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla procura di Roma. Lo ha spiegato il loro difensore, l’avvocato Giuseppe Pelazza, che ha già annunciato: «Dopo l’interrogatorio di garanzia (in programma giovedì) in cui i miei assistiti respingeranno le accuse, faremo ricorso al Tribunale del riesame» per la revoca dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Lunedì mattina la Sezione Antiterrorismo della Digos di Roma, in collaborazione con la Digos di Milano, a seguito di lunghe e complesse indagini, ha arrestato Morlacchi e Virgilio nelle loro rispettive abitazioni a Milano, in via Gola 7 e viale Umbria 56.
CONTROLLATI DA GIUGNO – Morlacchi, figlio di uno dei fondatori delle Brigate Rosse, e Virgilio, da ieri a San Vittore, sono rinchiusi in una cella in sostanziale isolamento in quanto la casa circondariale milanese è sprovvista di un reparto «alta sicurezza». «Siamo ai paradossi – ha affermato il legale -: essendo stati perquisiti a giugno e poi oggetto di osservazione e controllo, ritengo che le esigenze cautelari nei confronti di Morlacchi e Virgilio non possano sussistere nel momento in cui da allora non c’è stata alcuna condotta di carattere criminoso. I miei assistiti inoltre non hanno benché minimamente pensato di darsi alla fuga – ha continuato il legale – né di inquinare la prove».
«MAI PROGETTATO ATTENTATI» – L’avvocato Pelazza ha inoltre rilevato che i due non hanno alcuna accusa di detenzione di armi e di aver progettato attentati. «Il ministro degli Interni – ha concluso il difensore – potrebbe quindi riservare le sue dichiarazioni a fatti più concreti invece che a imputazioni del solo reato associativo che, come costume dilagante, copre il totale vuoto investigativo».
Redazione online