Ma il sindacato avverte: servono migliori retribuzioni e condizioni di lavoro. Parla il presidente di Zastava Aleksandar Ljubic: il marchio italiano è di casa, ma è un primo passo.
Una veduta dello stabilimento di Kragujevac (Reuters) |
KRAGUJEVAC—Da Belgrado sono 140 chilometri di autostrada a due corsie in direzione Skopje-Salonicco. La «Detroit balcanica» è un cantiere sprofondato nel cuore della Serbia tra le foreste della Sumadija punteggiate di monasteri ortodossi. Kragujevac è una distesa di palazzoni socialisti, impalcature e bar con i tavolini bruciati dal sole rallegrata da qualche vecchia Zastava color ruggine, superstiti 128, mitiche Yugo. Ammaccato, come le fabbriche distrutte dai bombardamenti Nato del ’99, l’orgoglio serbo abita ancora qui, all’ombra degli impianti che furono la gloria della Jugoslavia di Tito, i primi a esportare negli Usa auto prodotte in Europa orientale. «Vogliamo tornare in pista, abbiamo i coreani di Yura a Raca, i tedeschi di Leoni a Procuplie, non so quanto ci vorrà ma Kragujevac può diventare il maggior polo di attrazione di tutto l’Est per gli investimenti in auto e componentistica», scommette Nebojsa Zdravkovic, vicesindaco della quarta città del Paese (180 mila abitanti) e coordinatore municipale del «sistema Fas», l’alleanza con la Fiat.
Per Zdravkovic l’annuncio di Sergio Marchionne sullo spostamento della produzione del nuovo monovolume L-0, l’erede di Multipla, Idea e Musa, da Mirafiori ai 30 ettari di capannoni di Kragujevac, è solo un passo previsto lungo il cammino avviato con l’accordo del 2008 per la joint venture tra Fiat (67%) e governo serbo (33%), quella Fiat Automotive Serbia (Fas) che ha assorbito il settore auto del colosso Zastava nato due secoli fa come produttore di cannoni e ne ha assunto finora mille dipendenti. «Il contratto fissa il traguardo di 2.400 assunti e 200 mila vetture prodotte in un anno a partire dal 2012 — spiega il vicesindaco —, un ritorno all’epoca d’oro, quando quasi ogni famiglia aveva un membro alla Zastava, non mi dispiacerebbe che anche i miei figli lavorassero qui. Il processo ormai è avviato». «La cooperazione con gli italiani risale agli anni Cinquanta, fu Agnelli a scoprirci — precisa Aleksandar Ljubic, presidente del board dei direttori del Gruppo Zastava e consulente del ministero dell’Economia— per noi Fiat è un marchio domestico, nel 2008 le abbiamo solo dato il bentornato». Belgrado ha fatto di tutto per attrarre gli investimenti: dieci anni di esenzioni fiscali dal 2008, contributi fino a 10 mila euro per ogni operaio assunto sommando aiuti che vanno dalla previdenza ai corsi di riqualificazione e spalmati sul decennio, altre esenzioni fiscali previste dall’Accordo centro-europeo di libero scambio, accordi di formazione che coinvolgono università e politecnico locali. Fino al 2012 ci sarà da lavorare sulle infrastrutture: soprattutto trasformare in autostrada il tratto che dalla E10 svolta verso Kragujevac e migliorare i collegamenti ferroviari: da Belgrado oggi sono otto ore.
La fabbrica della Zastava |
Il ritorno degli italiani ha avuto anche un côté politico. Alle elezioni del 2008 vinse la coalizione filo-europea fedele al presidente Boris Tadic, un esito che è sempre stato collegato all’ annuncio sull’accordo imminente con gli italiani fatto dallo stesso Tadic pochi giorni prima del voto. «L’abbiamo voluto tutti, oggi però ci propongono condizioni di lavoro disumane» commenta oggi Radisa Sreckovic. Vive con la moglie Svetlana, le due figlie Aleksandra e Katarina e la madre Tomanja a Velico Krcmare, 25 km da Kragujevac. Dei suoi 47 anni, 24 li ha passati alla Zastava, poi in Fiat ad assemblare la Punto fino allo scorso gennaio. «Troppe pressioni, si lavora dal lunedì al venerdì in due turni di otto ore, due pause di dieci minuti e mezz’ora per il pranzo. In futuro ci sarà un tetto di 120 auto prodotte in un giorno e se a fine giornata non si raggiunge l’obiettivo, si resta. Lo stipendio doveva essere 40 mila dinari, circa 400 euro, non siamo arrivati a 30 mila. Un chilo di pane costa 35 centesimi e lo stipendio di un professionista raramente supera i 500 euro, ma far studiare i figli costa. Mia moglie è insegnante e guadagna 400 euro al mese, la nostra figlia maggiore è andata al mare la prima volta l’anno scorso». «Negli ultimi giorni si è molto drammatizzato a fini politici – conclude il leader sindacale Zoran Mihailovic – noi non temiamo ripensamenti, ma finora in Fas non abbiamo fatto un’ora di sciopero. Ma la priorità resta il diritto per tutti a migliori retribuzioni e condizioni di lavoro. Anche in Serbia».
Maria Serena Natale