L’INTERVISTA. L’avvocato italo-serbo Giovanni Di Stefano fu al fianco del comandante delle Tigri accusate di pulizia etnica. In passato dirigente dell’Oblic Belgrado: “So bene chi è Ivan Bogdanov, il capo ultras di Genova. E lo cerco”.
Giovanni Di Stefano, un nome che ai più non dirà molto. Eppure è la chiave per capire di più e meglio cosa ha scatenato la follia dei tifosi serbi nella terribile notte di Genova. Avvocato di origini molisane (è nato in provincia di Campobasso), 51 anni, Di Stefano ha difeso l’ex leader serbo Slobodan Milosevic alla Corte Internazionale di Giustizia e Saddam Hussein davanti al tribunale speciale iracheno che condannò a morte il dittatore.
Oggi il suo studio legale internazionale, con sede a Londra (dove lo abbiamo raggiunto al telefono), ha tra i clienti Omar Benguit, all’ergastolo per omicidio. Secondo la difesa, l’uomo è finito per errore dietro le sbarre al posto di Danilo Restivo, indagato in Italia per l’omicidio di Elisa Claps.
Ma Di Stefano è stato soprattutto il braccio destro di Željko Ražnatović, meglio conosciuto come Arkan, ex capo delle “Tigri” serbe accusate di aver sterminato migliaia di persone nella ex Jugoslavia in nome della pulizia etnica degli Anni Novanta. I due hanno condiviso anche la passione per il calcio: Arkan è stato il presidente dell’Oblic di Belgrado, Di Stefano il suo vice. Lui, che con il tifo della Capitale serba ha avuto a che fare, degli incidenti a Marassi si è fatto un’idea ben precisa: “ E’ colpa del Governo italiano che non ha fatto prevenzione. Gente comeVolevo essere lì per spiegare che la maggior parte dei serbi non è così. Questo deve essere chiaro“.
Ivan Bogdanov era già segnalata. Guardavo in tv la partita e non riuscivo a spiegarmi come armi e razzi avessero potuto superare i controlli.
Conosceva già Bogdanov e il suo gruppo?
“Ho sentito diverse cose su di lui e ora lo sto cercando…”.
In che senso e perché?
“Io sono ancora un ufficiale dell’esercito, un generale, e voglio capire cosa sta accadendo. Devo parlare con questa persona. Sono furioso, non si può utilizzare il calcio per la propaganda politica. Si rischia di fare seriamente male a qualcuno. E ieri sera si è andati molto vicini a tutto questo. Quel personaggio ha bloccato una partita di pallone, non si può accettare”.
Avrebbe detto lo stesso con Milosevic ancora al potere?
“Con Milosevic, Arkan e me questo non sarebbe successo. Era vietato portare la politica nello sport o nel cinema. Non ha senso utilizzare il terrorismo in uno stadio. Io lavoro molto in Medio Oriente, dove si fanno manifestazioni e si uccide. Ma durante evanti sportivi non ci sono situazioni del genere“.
Anche se poi sono successe cose molto più gravi…
“La guerra non piace a nessuno“.
Cosa c’è dietro gli incidenti di Genova?
“Un movimento che utilizza un mezzo sbagliato per fare propaganda. Ma oggi alla gente, in Serbia come in tutto il mondo, della politica non interessa più niente. Tuttii vogliono solo capire se e come arrivare a fine mese senza morire di fame”.
Qual è l’obiettivo di questo movimento?
“Rivogliono il Kosovo? Le Nazioni Unite hanno commesso un sacco di errori, però dico che se non si è soddisfatti di come vanno le cose è più utile andare a votare per mandare a casa chi governa”.
Dopo Genova, che provvedimanti verranno presi nel suo Paese?
“Non la passeranno liscia questi hooligans, ma il reato è stato commesso in Italia. E’ lì che bisogna fare qualcosa”.
Con Arkan lei ha anche guidato una squadra di calcio a Belgrado. Si sono verificati mai episodi simili?
“Mai successo, nei momenti facili come in quelli più difficili. Vede, anche dittatori come Hitler e Mussolini, piacciano o non piacciano, facevano in modo che fatti come quelli di Genova non si verificassero. Sapevano come mettere le cose in chiaro“.