Creato un fondo da 100 miliardi di dollari per facilitare il passaggio a tecnologie pulite. Il summit sul clima si chiude con un atto che va oltre Kyoto, ma senza impegni vincolanti. La Bolivia non ci sta
Patricia Espinosa (Afp) |
CANCUN (MESSICO) – Si erano già levati i calici, moltipicati gli applausi. A mezzanotte a Cancun (sette ora italiana) l’accordo sul clima sembrava cosa fatta. Il Messico aveva fatto il miracolo. Patricia Espinosa, la presidente della conferenza sul clima, usciva coperta di allori: il Cancun act era una sua creatura. Nemmeno due ore dopo, il panico. Pablo Solon, il capo negoziatore boliviano, il novello Bolivar di questa conferenza sul clima non ha esitato: ha rifiutato l’accordo, con sdegno e decisione. Incurante che gli alleati del suo gruppo Al.ba, l’Alternativa Bolivariana, i contestatori dei vertici sul clima, questa volta erano scesi a miti consigli. Lui no. Panico, indecisione. Le regole di questi vertici dicono che ci vogliono i voti di tutti i partecipanti (194) per far approvare l’accordo. Nelle delegazioni serpeggia l‘indecisione. Christine Figueres, segretaria della Conferenza, alle due di notte è decisa: «Basta il consenso, non l’unanimita» L’ultima parola non e’ ancora detta. Spetta, comunque alla presidente, lei, Patricia Espinosa, artefice del Cancun act. Alla plenaria che deve essere ancora convocata.
L’ACCORDO SUL TAVOLO – Era una bella vittoria della diplomazia sopraffina, questo accordo è il caso di dirlo. Perché poi a guardarlo dentro questo documento di Cancun (lo chiamano «pacchetto bilanciato») si trovano semplicemente tante dichiarazioni politiche e d’intenti, nessuna vincolante, nessuna operativa. Per adesso. E’ tutto rinviato al prossimo vertice di Durban del 2011. Eppure dopo il fallimento del vertice di Copenaghen dello scorso anno questo pacchetto messicano appare come un faro ad illuminare la nebbia che avvolge la nostra povera terra inquinata. Dentro c’é scritto che il protocollo di Kyoto deve continuare dopo la sua scadenza naturale, il 2012. E che i paesi che vi aderiscono dovranno tagliare le loro emissioni di CO2 da un minimo del 25 ad un massimo del 40%. Non era scontato. Anzi. E’ stata Patricia Espinosa che si è andata a prendere ad uno ad uno i dissenzienti di Kyoto, a cominciare dal Giappone. E’ stata lei a convincere anche la Russia ed il Canada. Lei che si è presa le lodi, pubbliche e sperticate, di un paese affatto docile, come l’India, per bocca del suo ministro Ramesh. Dentro il pacchetto ci sono anche i soldi del fast start per i Paesi in via di sviluppo (30 miliardi di dollari, 410 milioni da parte dell’Italia ) e poi il Green climate fund, un fondo per far decollare l’economia verde nel mondo con 100 miliardi di dollari l’anno gestito per tre anni dalla Banca mondiale e da 40 Paesi membri (25 in via di sviluppo e 15 sviluppati). Anche Felipe Calderon, il presidente messicano, può ridere, stanotte. «Ma chi è stata davvero straordinaria è stata la presidente della conferenza Patricia Espinosa», dice Stefania Prestigiacomo, il nostro ministro dell’Ambiente, con un pizzico di amaro in bocca: «Non avremmo potuto farcela anche noi in Europa, lo scorso anno a Copengahen?».
ALESSANDRA ARACHI