Avvenuta il 23 dicembre 1984 causò 15 morti. Sarebbe stato usato lo stesso esplosivo di via D’Amelio. Il provvedimento su richiesta della Dda di Napoli
Totò Riina all’uscita dell’aula Bunker del Carcere della Dozza di Bologna in una foto d’archivio del 1996 (Ansa) |
NAPOLI – Un’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa nei confronti del boss di Cosa Nostra, Totò Riina, nell’ambito dell’inchiesta, coordinata dalla Dda di Napoli, sulla strage del Rapido 904, che causò 15 morti, avvenuta il 23 dicembre 1984. Riina è indicato come mandante della strage, per la quale è stato già condannato con sentenza definitiva, tra gli altri, il boss mafioso Pippo Calò.
L’ESPLOSIVO – L’ordinanza di custodia cautelare è stata notificata, mercoledì mattina, al boss dai carabinieri del Ros. È stata firmata dal gip di Napoli, Carlo Modestino su richiesta del pm della Dda, Paolo Itri e Sergio Amato, e del procuratore aggiunto Sandro Pennasilico. A quanto si è appreso dalla nuova inchiesta condotta dalla Dda partenopea, sarebbe emerso, tra l’atro, che per la strage del Rapido 904 sarebbe stato utilizzato lo stesso tipo di esplosivo adoperato per la strage di via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta.
L’ESPLOSIVO – A incastrare Totò Riina sarebbero state le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia di origini siciliane. Ma, gli investigatori hanno anche eseguito accertamenti riguardo alla provenienza e alle caratteristiche oggettive e alla composizione chimica dei materiali esplosivi utilizzati per compiere la strage e dei congegni elettronici utilizzati per l’attentato o comunque ad esso direttamente o indirettamente ricollegabili. Dagli accertamenti eseguiti è emerso tra l’altro che una parte dell’esplosivo utilizzato per la strage del rapido 904 -Semtex H- proveniva da un’unica originaria fornitura di armi e materiale esplodente risalente agli inizi degli anni ’80 destinata ai clan della mafia siciliana parte della quale venne poi successivamente sequestrata nel febbraio del ’96 dalla Dia di Palermo in Contrada Giambascio di San Giuseppe Jato. Il sequestro fu considerato all’epoca il più grande arsenale della mafia mai scoperto nel secondo dopoguerra.
Nell’immagine di repertorio (23 dicembre 1984), il Rapido 904 fermo nella stazione di San Benedetto Val di Sambro (BO) dopo l’attentato (archivio Corriere) |
LA VICENDA – Il Rapido 904 era partito da Napoli il 23 dicembre 1984 ed era diretto a Milano ma nei pressi della galleria di San Benedetto Val di Sambro, nel Bolognese, a causa di una bomba posizionata sul portabagagli, ci fu un’esplosione nella carrozza 9 di seconda classe. Erano le 19.08, il Rapido 904 era pieno di viaggiatori che tornavano al nord per festeggiare il Natale. Nel tunnel la bomba esplose, non fu un fatto casuale ma studiato a tavolino per provocare un effetto violento. «La strage del rapido 904 si inserì nella cosiddetta strategia stragista dell’organizzazione mafiosa siciliana, ideata e perseguita dall’ala corleonese facente capo a Riina, allo scopo di condizionare gli esiti del maxiprocesso, esercitando ogni possibile forma di pressione sugli apparati dello Stato» spiegano gli inquirenti. «Tali pressioni, nelle intenzioni di Riina, e secondo quanto dichiarato dai collaboratori di giustizia – scrivono ancora gli investigatori -, erano peraltro destinate ai (veri o presunti che fossero) referenti politici del mafioso, quale sostanziale forma di ricatto, al fine di indurre tali soggetti ad intervenire efficacemente per condizionare, a livello giudiziario, ed a beneficio dell’organizzazione, l’andamento del maxiprocesso».
Redazione online