NAPOLI – LA VIDEOINCHIESTA. Viaggio (indisturbato) negli uffici del giudice di Pace tra spazzatura, infissi divelti e decreti abbandonati
NAPOLI – Più di cento persone ammassate in una stanza di appena 25 mq che cade a pezzi. Di intonaco ne è rimasto ben poco attaccato ai muri. Ormai sono ben evidenti i tramezzi e i cavi della corrente elettrica appesi alla men peggio. Eppure qui ogni mattina avvocati e testimoni si contendono l’attenzione di qualche malcapitato giudice di pace. Siamo a Napoli, nell’ex caserma Garibaldi, pieno centro storico. E’ un vecchio edificio del 1800 adibito a ufficio giudiziario. Ma tutto sembra tranne che un luogo di giustizia. In ogni angolo ci sono cumuli di spazzatura, carcasse di computer, infissi divelti e ciò che resta di vecchi suppellettili. I fascicoli dei procedimenti sono affastellati ovunque: a terra, lungo i corridoi; negli ingressi, nei cortili all’aperto, nei bagni. Proprio accanto a uno dei water troviamo il raccoglitore dei decreti ingiuntivi. C’è l’elenco di tutte le persone che fino al 2004 si sono viste pignorare un bene per non aver pagato. Chiunque può dare un’occhiata e addio privacy. Ma non solo. Chiunque può manipolare i fascicoli, lasciati incustoditi in ogni dove. Oppure portarli via, farli sparire, come abbiamo provato a fare noi. Siamo entrati indisturbati in una delle stanze dei giudici, abbiamo sottratto un intero faldone, siamo usciti e poi rientrati. Stessa cosa nella sala dell’archivio. Non è successo niente. «Qui dentro chiunque può entrare e fare di tutto» chiosa uno dei magistrati onorari. Ha da poco finito il suo orario di lavoro che prevede venti cause in un giorno. Ogni volta porta da casa la spillatrice e i fogli protocollo. Non può lasciarli in tribunale perché rubano anche quelli. Sulla scrivania manca qualsiasi tipo di supporto informatico ma anche un minimo di cancelleria. Inutile dire che tutto è redatto a mano. «Di computer qui non se ne parla – ci dice -. Nel 1995 ci fecero firmare un foglio dove ci chiedevano che tipo di computer volevamo: portatile o fisso. Siamo nel 2011 e ancora attendiamo». «Se dovessimo pensare alle condizioni in cui lavoriamo dovremmo smettere» conclude il giudice chiedendo l’anonimato «perché – ci confessa – a Napoli è inutile, anzi controproducente, persino protestare».
Antonio Crispino Corriere della Sera