Ageletti (Uil): Sì a un Governo di emergenza nazionale con un’ampia base parlamentare. Ex An e socialisti non cedono. La Russa: esecutivo a tempo, voto nel 2011. Il toto ministri – Per l’Istruzione «candidato» Francesco Profumo. Alla Giustizia Berlusconi preferirebbe che restasse l’attuale ministro Nitto Palma. I ministri saranno da 12 a 15. Non sono previsti dicasteri senza portafoglio.
ROMA – «Noi non siamo spaccati, stiamo solo discutendo». Alla prova più dura della sua giovane segreteria Angelino Alfano si trova a fronteggiare la lacerazione trasversale del Pdl, la più bruciante dopo la rottura con Fini. Mezzo partito non vuole rassegnarsi alla possibilità che un governo di emergenza nazionale prenda forma a tempo di record. C’è chi minaccia di uscire e chi di dimettersi dal Parlamento. E l’ipotesi di un appoggio esterno si fa più concreta.
Il cuore del Pdl gronda sangue. L’abbraccio con Fini, Casini e Bersani appare a tanti così urticante che l’opzione di non entrare nell’esecutivo comincia a prendere corpo. A sera, nel vertice con Berlusconi a Palazzo Madama, l’appoggio esterno è il filo rosso che lega gli interventi dei senatori più ostili al nuovo governo. Per tutto il giorno il premier raccoglie gli umori (e i malumori) dei dirigenti.
Al mattino riunisce a Palazzo Grazioli lo stato maggiore e, per ore, soppesa i pro e i contro: «Deciderò dopo aver ascoltato tutti gli alleati di questi anni». Dopo un’altra giornata di pathos il rischio scissione sembra rientrato e i mediatori non disperano di tenere unito il partito. Ignazio La Russa è allergico alle «ammucchiate» eppure conviene che, in una situazione di emergenza, un governo «di soli tecnici» è l’unico «scenario alternativo al voto».
Un esecutivo a tempo determinato, «che porti a elezioni nella primavera del 2012». È una proposta, quella del ministro della Difesa, sulla quale Renato Brunetta potrebbe convergere tra i primi e che riduce la distanza con la vasta area dei favorevoli. «Il fronte della responsabilità avrà la meglio» spera Claudio Scajola, che a cena a Milano con un centinaio di politici e imprenditori ribadisce il suo no alle urne anticipate. «Monti? Una soluzione imposta dai fatti» tifa per il governo tecnico Roberto Formigoni, schierato contro quanti, come Maurizio Sacconi, si oppongono alla «guida di un tecnocrate». Paolo Romani è fortemente contrario e così Gianfranco Rotondi, che ha aderito alla manifestazione pro elezioni di Ferrara e minaccia di dimettersi dal Parlamento, con i deputati Cutrufo e De Luca, per denunciare il «golpe silenzioso». E nessuna concessione arriva da Giorgia Meloni: «Sono perplessa, dico no a governi tecnici o di larghe intese».
Tra coloro che mediano per tenere unito il partito si segnala Mariastella Gelmini e Maurizio Gasparri non chiude: «Sono tiepido, ma la formula di un governo di tecnici è sempre meglio che mettere insieme politici di tutti i partiti». In questo quadro si capisce perché Berlusconi prenda tempo. Nel lungo vertice di Palazzo Grazioli si è raggiunto un accordo sulla necessità di non dividersi, ed è già qualcosa. Alfano annuncia che domani il Pdl riunirà l’ufficio di presidenza e chi non sarà d’accordo con le decisioni assunte si adeguerà alla maggioranza. Ufficialmente il Pdl resta sulla richiesta di elezioni anticipate, ma non proverà a ostacolare il lavoro del Quirinale. «Non intendiamo sovrapporci a ciò che il presidente intenderà fare quando avvierà le consultazioni», assicura Alfano. E solo dopo che Napolitano avrà sentito i partiti, il Pdl valuterà «le scelte definitive». Trovare la quadra non sarà semplice. Se Adolfo Urso dialoga, Andrea Ronchi segnala «il disagio di tanti nel centrodestra». Di una scissione nessuno parla apertamente, ma tra gli ex An la dolorosa suggestione dello strappo finale non può dirsi del tutto sopita.
ROMA – Con l’imminente cambio di governo, è partito il totoministri. Ma i modi e i tempi della compilazione della lista saranno ben diversi da quelli cui siamo stati abituati. Quanto ai tempi si sa che dovrebbe essere pronta già nel pomeriggio di domenica 13 novembre in modo che ci sia un nuovo governo prima della riapertura dei mercati lunedì. Quanto alla lista, un’altra caratteristica sarà quella di essere corta, un governo snello e operativo. Dodici-quindici posizioni di ministri la cui scelta dovrà rispondere a un identikit ben preciso: quello di essere nei vari ambiti personalità in grado di applicare le misure richieste dalla Ue, cioè in grado di rendere operative le richieste della famosa lettera del 5 agosto e le successive 39 domande recapitate a Roma. Quindi poltrone ridotte all’osso, con taglio innanzitutto dei ministeri senza portafoglio. C’è poi la domanda: sarà un governo tutto tecnico o un mix tecnico-politico? Con il passare delle ore nella giornata di ieri si è rafforzata la prima ipotesi, con appoggio esterno dei principali partiti presenti in Parlamento, a partire da Pdl, Pd ma anche il Terzo polo.
Quindi il nuovo governo sarebbe formalmente un governo tecnico sostenuto da larga maggioranza parlamentare, ma non di larghe intese. In pratica si configurerebbe come governo d’emergenza nazionale, vista la situazione economica. A questo punto i nomi. Naturalmente il presidente del Consiglio, Mario Monti, che assumerebbe anche l’interim dell’Economia, cui in alternativa potrebbe essere chiamato anche Fabrizio Saccomanni, direttore generale della Banca d’Italia. Agli Esteri, Giuliano Amato, con il grado di vicepremier (più improbabile che Amato torni al Viminale, viste le sue competenze economiche e le sue relazioni internazionali). Ma agli Esteri è tornata anche l’ipotesi di lasciare il dicastero a Franco Frattini. Gianni Letta potrebbe mantenere l’incarico di sottosegretario alla presidenza anche con il grado di vicepremier. Vicepremier anche Enrico Letta del Pd, ma tutti e due salterebbero ovviamente nel caso di un governo tecnico.
Al ministero dello Sviluppo, potrebbe invece andare Saccomanni o anche Lorenzo Bini Smaghi, che proprio ieri si è dimesso dal board della Bce per far posto a un francese e che ha annunciato un incarico all’Università di Harvard dal primo gennaio.
Alla Giustizia, dove Berlusconi intendeva “difendere” Nitto Palma, ma per cui corre il nome di Maurizio Lupi) potrebbe andare un tecnico come il presidente della Corte d’Appello di Torino, Mario Barbuto. Un magistrato-manager che ha dato prova, quasi miracolosa, di come si gestisce un grande ufficio giudiziario azzerando l’arretrato civile. È quest’ultimo uno dei nodi dolenti che frenano lo sviluppo economico anche nell’analisi della Ue.
Per l’istruzione, se non ci andrà un politico, come Rocco Buttiglione (presidente dell’Udc, ed esponente di punta del mondo cattolico che si è espresso con il Forum di Todi), il “tecnico” più gettonato è Francesco Profumo (presidente del Cnr). Altri due nodi strategici riguardano la pubblica amministrazione e il welfare. Ministro potrebbe essere o un amministrativista della scuola di Sabino Cassese, o Franco Bassanini o forse ancor di più un manager gestionale.
La necessaria introduzione della flexesecurity, indispensabile per la riforma del mercato del lavoro, potrebbe essere attuata affidando il ministero del Welfare a Pietro Ichino. Ai Beni Culturali è in pole Paolo Baratta.
M. Antonietta Calabrò & Monica Guerzoni