L’inchiesta sul caso del senatore Luigi Lusi. Carra e Lusetti avevano portato la Margherita in tribunale. La società cui è finita la somma era nota ai vertici dei Dl. La decisione è stata presa all’unanimità dall’ufficio di presidenza. Ieri gli strali di Bersani. L’ex tesoriere della Margherita non fa più parte del Pd dopo l’accusa di avere sottratto fondi dal conto del partito di Rutelli

ROMA – Faceva affari in Italia Luigi Lusi, ma negli ultimi anni aveva deciso di concentrarsi anche sull’estero. E alla fine aveva ritenuto che la strada più semplice da seguire fosse quella di trasferire in Canada gran parte dei soldi accumulati sul conto corrente intestato a «Democrazia è Libertà» e poi finiti nella disponibilità della «TTT srl», la società della quale risulta unico proprietario. In tutto 13 milioni di euro utilizzati per acquistare immobili di pregio e per alimentare il suo bilancio personale. Nel 2009, qualcosa lo ha però convinto sull’opportunità di far rientrare almeno in parte il denaro nel nostro Paese. E così ha deciso di accedere allo scudo fiscale. La clamorosa novità emerge dagli accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza su delega della magistratura romana. E rafforza il vero interrogativo che ruota intorno a questa storia: possibile che l’ex tesoriere della Margherita poi diventato senatore del Partito democratico, abbia fatto tutto da solo? Possibile che nessuno si sia accorto di questa continua movimentazione di denaro?
LA CAUSA CIVILE SUI RENDICONTI – In realtà sin dal luglio scorso alcuni parlamentari che facevano parte della Margherita si erano rivolti al tribunale civile impugnando la validità dei rendiconti relativi al 2009 e al 2010. Appare difficile credere che neanche in quell’occasione i vertici dell’ex Margherita che adesso sono parte lesa contro Lusi – il presidente Francesco Rutelli, il presidente dell’assemblea Enzo Bianco e il presidente della Tesoreria Gianpiero Bocci – gli abbiano chiesto conto di quanto stava accadendo. Eppure la vicenda giudiziaria è appena entrata nella fase cruciale, tanto che la prossima udienza è fissata al 3 aprile prossimo.
Sono le carte processuali a rivelare i passaggi della disputa. Si scopre infatti che il 15 luglio scorso, dopo aver scoperto che erano stati pubblicati i «bilanci» degli ultimi due anni, i parlamentari Enzo Carra, Renzo Lusetti e Calogero Piscitello, l’ex coordinatore regionale lombardo Battista Bonfanti e Carmine Nuccio, hanno presentato ricorso. E in quella sede hanno citato «l’Associazione denominata “Democrazia è Libertà – La Margherita”». Nella memoria di costituzione è esplicitata la loro posizione: «Nessun rendiconto poteva essere stato approvato dal momento che è l’Assemblea federale, per espressa disposizione statutaria, a doverlo fare e noi che ne facciamo parte non siamo stati mai convocati. Per questo deve essere dichiarata la nullità degli atti». Quattro mesi dopo, esattamente il 30 novembre 2011, «Democrazia è Libertà» deposita le controdeduzioni e «resiste all’impugnazione chiedendo in via preliminare di dichiarare inammissibili e improcedibili le domande». Poiché è il partito ad essere stato citato in giudizio, non può essere stato Lusi a scegliere la linea da seguire. E dunque i legali dei ricorrenti stanno adesso valutando la possibilità di chiedere al giudice civile la trasmissione degli atti ai pubblici ministeri per valutare eventuali falsi e soprattutto omissioni di controllo nella stesura dei rendiconti.
La società di Toronto e il mutuo negato
Del resto i trasferimenti di denaro dal conto corrente della Margherita a società private erano facilmente rintracciabili, pur tenendo conto che Lusi li aveva frazionati in novanta bonifici. Un flusso continuo di soldi che arrivava alla «TTT», azienda che aveva come incarico esclusivo l’effettuazione di consulenze per la Margherita, e poi confluiva in altre società. Una in particolare, la «Luigia Ltd» con sede a Toronto che – come risulta dalle verifiche delle Fiamme Gialle – controlla al 100 per cento proprio la «TTT». Un gioco di scatole cinesi per occultare beni, ma anche per mascherare gli affari immobiliari. E infatti è proprio l’acquisto del lussuoso appartamento al centro di Roma, in via Monserrato 24, a creare la prima crepa nel meccanismo finanziario apparentemente perfetto che era stato messo in piedi.
Accade quando la società che fa capo a Lusi chiede il mutuo per comprare l’appartamento, ma la banca nega l’erogazione «perché “TTT” si rifiuta di rivelare i reali titolari delle quote». Una situazione che si modifica qualche mese dopo quando la stessa «TTT» accede allo scudo fiscale per far rientrare in Italia i capitali portati in Canada attraverso la «Luigia Ltd». Si tratta infatti di un atto ufficiale che lo espone fiscalmente però gli consente di ottenere il via libera dell’Istituto di credito alla concessione del finanziamento necessario a comprare la casa. Lusi ha chiesto lo scudo senza informare nessuno? E dove è finito il denaro che ha riportato in patria?
L’ipotesi di accordo al 50 per cento
A tutte queste domande dovrà rispondere l’inchiesta della Procura di Roma, tenendo conto che la «TTT» era società ben nota a La Margherita visto che l’amministratore unico era Paolo Piva, consulente in materia di viabilità di Francesco Rutelli quando era sindaco di Roma proprio insieme a Lusi.
Entro questa sera gli ex leader de La Margherita assistiti dall’avvocato Titta Madia dovrebbero visionare la proposta di fidejussione che Lusi ha già consegnato al procuratore aggiunto Alberto Caperna e al suo sostituto Stefano Pesce. «Se saranno fornite le garanzie necessarie – anticipa il legale – potrebbe esserci l’accordo, sia pur con la riserva di avviare ulteriori azioni legali». Lusi ha offerto la restituzione soltanto di 5 milioni di euro, meno della metà della cifra che gli viene contestata. Ma nonostante questo il partito si mostra disponibile ad accettare la sua offerta. Un atteggiamento al momento incomprensibile.
ROMA – Il senatore Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita indagato per espropriazione indebita ai danni dell’ex partito, è stato escluso dal gruppo del Pd a Palazzo Madama. La decisione, a quanto si apprende da una nota, è stata presa all’unanimità dall’ufficio di presidenza del gruppo. «L’Ufficio di presidenza del gruppo del Pd al Senato – si legge nel comunicato – ha deliberato all’unanimità, in una riunione che si è svolta questa mattina, su proposta della presidente Anna Finocchiaro, l’esclusione del senatore Luigi Lusi dal gruppo stesso». Già il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, aveva ipotizzato la sua espulsione, spiegando che «noi non facciamo sconti a nessuno». Oggi la ratifica di una decisione che era dunque già nell’aria.
POTRA’ FARE RICORSO – L’esclusione dal gruppo decretata nei confronti di Lusi, ovvero la sua espulsione, è la sanzione più grave prevista dal Regolamento del gruppo Pd. Sta ora a Lusi accettarla e chiedere l’iscrizione a un altro gruppo parlamentare oppure ricorrere contro la decisione del direttivo, facendo appello all’assemblea dei senatori Pd. Le sanzioni sono stabilite dall’articolo 10 del Regolamento del guppo parlamentare Pd di palazzo Madama. «Il Direttivo, su proposta del Presidente, in caso assenze ingiustificate e reiterate o per gravi violazioni del presente Regolamento, nonché del codice etico del Partito Democratico – è scritto- può assumere i seguenti provvedimenti: a) richiamo orale; b) richiamo scritto; c) sospensione, fino a dieci giorni, dalle cariche interne al Gruppo o dalla partecipazione all’Assemblea del Gruppo; d) esclusione dal Gruppo. Contro le decisioni del Direttivo il Senatore può far ricorso all`Assemblea».
«BASTA FINANZIAMENTO PUBBLICO» - Intanto sulla vicenda intervengono anche i Radicali, che sono stati eletti nelle fila del Pd e di cui condividono l’appartenenza al gruppo, tornando alla carica sulla cancellazione dei contributi pubblici alla politica: «Il finanziamento pubblico ai partiti deve essere azzerato, altro che dimezzamento – ha detto il segretario Mario Staderini -. Se non lo farà il Parlamento, torneremo a dare la parola agli italiani con un referendum totalmente abrogativo, come quello che vincemmo nel 1993 con il 90,3% di favorevoli».