La sentenza del tribunale di palermo. I pm avevano chiesto otto anni. Il gup ha citato il secondo comma dell’articolo 530 del codice di procedura penale. Il politico dopo il verdetto: «Finalmente è finita»
PALERMO – L’ex ministro dell’Agricoltura Saverio Romano è stato assolto dall’accusa di concorso in associazione mafiosa dal Tribunale di Palermo. Dopo due richieste di archiviazione da parte della Procura e l’imputazione coatta, si conclude così, con la sentenza emessa al termine del giudizio abbreviato, la vicenda giudiziaria dell’esponente politico del Pid.
LA SODDISFAZIONE DI ROMANO – «Finalmente è finita», ha commentato Romano con i suoi legali. «Ho sempre confidato nella mia assoluzione. Inutile nascondere la mia soddisfazione: sono stato assolto», ha spiegato «perché il fatto non sussiste. Ho sempre pensato che le sentenze si leggono e non si commentano. In me vi è però l’amarezza per i tempi lunghi della giustizia, che non sono compatibili con un Paese civile». Il pm Nino Di Matteo ne aveva chiesto la condanna a otto anni di reclusione, e lo aveva definito «pienamente intraneo a Cosa nostra» tanto da manifestare una «sostanziale, riconosciuta vicinanza disponibilità nei confronti delle famiglie mafiose di Villabate e Belmonte Mezzagno» con le quali avrebbe stretto un vero e proprio «patto politico-elettorale mafioso».
ARTICOLO 530 COMMA SECONDO – Il gup Ferdinando Sestito ha utilizzato la vecchia formula dell’insufficienza di prove, citando nella lettura del dispositivo il secondo comma dell’articolo 530 del codice di procedura penale che prevede l’assoluzione nel caso in cui manchi, sia contraddittoria o sia insufficiente, la prova della colpevolezza.
LE ACCUSE DEI PM – Il parallelo tra l’ex presidente della Regione Cuffaro, assolto per «ne bis in idem» dall’accusa di concorso esterno perché per gli stessi fatti sta già scontando una condanna a sette anni di reclusione, era stato al centro della requisitoria dei pubblici ministeri: «Carriere politiche parallele all’insegna di una comune clientela mafiosa». Per la Procura, l’anno della svolta sarebbe stato il 2001, quando Cuffaro venne eletto presidente della Regione e Romano deputato. «È l’anno – aveva spiegato Di Matteo – in cui Romano deve onorare le cambiali staccate quando da giovane corteggiava e blandiva i boss per acquisire spazio ed esercitare potere, e la sua candidatura alla Camera è stata espressione degli interessi mafiosi. Per Romano e Cuffaro la mafia non è vista solo come un interlocutore che si accetta ma come una risorsa per acquisire consenso politico e accrescere il proprio potere». Ma le accuse non hanno retto e il gup ha dato ragione a Raffaele Bonsignore ed Enzo Inzerillo, avvocati di Romano. L’ex ministro, che durante le repliche del pm era scoppiato in lacrime, ha preferito non assistere alla lettura del dispositivo.
LUI: «MAI TRADITO IL PAESE» – Stamane, però, in aula, a conclusione delle repliche delle parti e prima che il giudice si ritirasse in camera di consiglio per la sentenza, l’ex ministro aveva affidato a una breve dichiarazione spontanea la sua appassionata difesa: «In questi 20 anni ho sempre osservato le leggi e ho più volte giurato sulla Costituzione. Amo questo Paese e non l’ho mai tradito, men che meno sostenendo la forza criminale che più di tutte rappresenta l’anti Stato: Cosa Nostra». Più volte fermato dal pianto, Romano ha ricordato la sua attività di avvocato, interrotta dopo l’avviso di garanzia: «Ho una toga che è pulita – ha detto in lacrime – e spero di poterla consegnare a mio figlio al più presto». Infine l’ex ministro ha stigmatizzato «l’ombra» delle accuse che da anni gli erano rivolte «diffuse a macchia d’olio sui media». «Io non avevo modo di sapere quali erano le accuse a mio carico – ha concluso – l’opinione pubblica sì».