INSOLITA CERIMONIA FUNEBRE. Durante l’orazione: «Papà mi ha insegnato che esiste un solo Dio, che siamo tutti fratelli».
DOMODOSSOLA – Il giovane parroco attende la fine dei versi del Corano. Poi si sfila le scarpe, sale sul tappeto accanto alla bara e inizia la sua preghiera. «Papà mi ha insegnato che esiste un solo Dio, che siamo tutti fratelli». È l’ultimo saluto del figlio ad Adel, arrivato dall’Egitto 34 anni fa. Alla periferia d’Italia, appena prima del confine svizzero, in un cortile tra due file di garage, si celebra un funerale insolito: il figlio Nur, che ha abbracciato la fede cattolica fino a farsi prete, tiene l’orazione funebre per il padre, musulmano osservante e fiero delle sue origini.
CERIMONIA ALL’APERTO – Mentre una trentina di arabi invocano «Allah Akbar», Allah è grande, attorno le famiglie del posto si mescolano alla comunità islamica, e tra loro una decina di sacerdoti cattolici e due suore giunte da tutta la diocesi. «Vale più una giornata come questa che mille convegni sull’integrazione» osserva don Renato Sacco, di Pax Christi, animatore in provincia del dialogo tra le religioni. È stato lui a suggerire di tenere la cerimonia funebre all’aperto, perché il piccolo appartamento che ospita il centro culturale islamico avrebbe contenuto a malapena una decina di persone. Adel Nassar, il padre di don Nur, quando seppe che suo figlio avrebbe indossato l’abito talare non la prese bene. Ma subito dopo lo incoraggiò e lo aiutò. E sicuramente oggi sarebbe contento di vedere come è stato il suo addio alla vita. «Era il suo sogno vedere tutti uniti, musulmani e cattolici. Finalmente quel desiderio si è realizzato» osserva Ali Bouchbika, uno dei primi a credere nella comunità islamica in Val D’Ossola. Adesso sono più di 1.500, soprattutto marocchini, come lui, ma anche tunisini ed egiziani. Un po’ di diffidenza, qualche tensione, alcune battute di politici difficili da digerire, ma in fondo una convivenza pacifica, meglio che altrove.
I RACCONTI DEL PADRE – Il futuro don Nur è cresciuto in questi cortili, sentendo i racconti del padre e dei parenti immigrati, e correndo nell’oratorio che frequentava la madre Ines, infermiera e impegnata nell’associazionismo cattolico. Una famiglia dalla fede profonda, anche se coniugata in due modi diversi. Sempre nel rispetto reciproco. Il frutto di tutto questo è lì, in quella immagine di un giovane prete che a stento trattiene le lacrime per il dolore del padre morto e che prima di tutto si preoccupa di ringraziare «il fratello Said e il fratello Mohammed, che ieri lo hanno lavato e profumato».
MESSAGGIO DELLA CURIA – Il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, manda un messaggio che la comunità islamica apprezza: «La singolare esperienza del padre di don Nur, l’aver voluto bene alla moglie, di diversa religione, non solo gli ha permesso grande attenzione alla coscienza e al cammino degli altri, ma ha ricevuto altresì ammirazione per la rettitudine della sua fede e l’impegno nella sua comunità». Alle quattro della sera, la bara di mogano viene calata dentro la fossa, nel campo del cimitero che è stato da poco riservato ai non cattolici. Adel Nassir è il primo ad essere sepolto lì. Gli addetti del cimitero avanzano con il piccolo trattore per coprire di terra il feretro. Ma gli uomini della comunità islamica li fermano e afferrano le pale, preferiscono fare da soli. Quelli de posto li guardano, sorpresi. Ma presto, anche loro si uniscono.